Il NO e le riforme

16 Novembre 2016
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Immagine di Stefano Puddu Crespellani

Marcello Tuveri

Tra le non poche ragioni del dissenso tra i sostenitori del NO e quanti ritengono che solo il SI garantisca un rinnovamento delle istituzioni vi è pure l’accusa che chi è per il NO sia nemico di ogni riforma.

La realtà del dibattito animato dall’alta cultura giuridica e dalla consapevolezza sociale di una parte del Paese, rivelano come il gruppo di potere Renzi-Boschi-Verdini fondano le ragioni del progettato stravolgimento su una serie di falsi storici.

“Il Paese è fermo da trent’anni sul terreno delle riforme costituzionali” dicono, ma dal 1948 sono stati modificati 43 articoli della Costituzione. Dal 1986 sono state emanate 25 leggi costituzionali tra cui: il pareggio di bilancio, la pari opportunità tra gli uomini e le donne e il voto degli italiani all’estero. La proposta del presidenzialismo maggioritario di Berlusconi-Bossi fu bocciata nel 2006. Dal 1990, infine, sono state modificate una ventina di norme costituzionali e abrogate cinque.

Alla contestazione se in passato non si son fatte riforme era logico aggiungere che solo la sua leadership potrà rendere moderna l’Italia e semplificarne l’Amministrazione. Quindi chi vota NO e le eterogenee forze politiche che lo sostengono, non hanno nessuna capacità di migliorare ed adeguare ai tempi la società italiana. E’ esattamente il contrario: conservazione e atteggiamento retrivo nei confronti dei lavoratori é dovuto a quanti vogliono concentrare il potere nel governo centrale. Per farlo vogliono nominare i capi lista dei 100 collegi per l’elezione della Camera dei Deputati, 95 dei Senatori saranno nominati dai Consiglieri Regionali e non dai cittadini aventi diritto di voto.

Su cento nominati dal Senato 5 dovranno la carica al capo dello Stato Giorgio Napolitano per aver sostenuto questo tipo di riforma. In verità chi vota NO non ama il biparlamentarismo paritario. Si può cambiare anche domani, dopo il dicembre prossimo rispettando la sovranità popolare come dice la Costituzione e la Corte Costituzionale con la sentenza n.1 del 2014.

Chi dice NO esige che i Senatori siano espressione diretta veramente delle Regioni e dei loro cittadini.

Sulle Provincie la loro abolizione non costituisce una perdita insanabile per la funzionalità dei servizi pubblici. Le Provincie erano preposte alle strade, agli esposti e ai malati psichici. Le Provincie hanno cambiato solo la designazione dei vertici. Non esistono più i consigli provinciali, cioè organi controllati dalla volontà dei cittadini. Ora sono gestiti da commissari.

Dell’abolizione del Consiglio Nazionale del Lavoro si può discutere. La sua crisi é datata. Invece di una sede per favorire l’intermediazione nei rapporti economici e sociali é diventato lo spazio dove collocare politici e sindacalisti con modico compenso e distribuzione di ampie consulenze.

Sulle competenze delle Regioni, come su altre proposte con una certa validità vi è da dire che la strana scelta ha un carattere rigorosamente restrittivo: rischiano di diventare organismi di mera attività attuativa e integrativa.

Com’é accaduto in materie strategiche come la finanza nazionale si poteva aprire un dialogo tra lo Stato e Regioni attraverso una composizione degli interessi per ricreare un rapporto equilibrato. Le regioni debbono disporre di tanto potere normativo “da assurgere” come affermava Esposito “a centro di vita effettiva ed individuale nella vita dello Stato”.

Con la legge Renzi-Boschi sulla riforma del titolo V lo Stato dispone di 51 materie di legislazione esclusiva e per le Regioni restano 15 materie prevalentemente organizzative.

La linea politica che domina le pulsioni centralistiche é frutto di una spinta compressiva della sovranità popolare che sconfina nella riduzione del potere diffuso dei cittadini ed una complicazione centralistica ed autoritaria del sistema civile.

Un ultima considerazione riguarda l’incomprensione di molti articoli della legge Renzi-Boschi per la loro stesura incomprensibile. Il confronto tra la chiarezza della Carta Costituzionale del 1948 e l’attuale testo modificatorio dimostra che la confusione delle espressioni denuncia la scarsa chiarezza dei concetti.

 

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