Il sardo: una lingua e due macro varietà

16 Giugno 2018
[Graziano Pintori]

Il Prof. Antonio Mele pubblica un altro prezioso compendio sulla lingua sarda, edito a sue spese e diffuso disinteressatamente. “Il sardo: una lingua e due macro – varietà” è il titolo dato al quarto volumetto, il quale esordisce ricordando che l’Italiano è la lingua ufficiale degli italiani e, con apposite norme, la Costituzione tutela le minoranze linguistiche. La premessa è importante perché, come sappiamo, l’Italiano è la lingua utilizzata dal 95% dei cittadini residenti, quindi una lingua che unifica nonostante gli idiomi diffusi nelle varie regioni della Repubblica. Il libro di Mele in pratica, considerata la presenza di una lingua tanto dominante, anche tra i sardi, quanto diffusa com’è l’Italiano, porta il lettore a chiedersi: “E’ necessaria una seconda lingua regionale/nazionale come la Lingua Sarda Comune?” Una lingua “costruita a tavolino”, in cui sono evidenti, secondo il professore, “arbitrarie soluzioni logudoresi, spicciolate di campidanese e altre forme prelevate da parlate intermedie?”. “Una specie di esperanto” con la pretesa di unificare linguisticamente i sardi, e chi vorrebbe imparare a scrivere e parlare sardo. Una koinè sostenuta esclusivamente da atti amministrativi e burocratici, una sorta di pianificazione linguistica in cui prevalgono le azioni politiche/municipalistiche piuttosto che “la storia e i processi che nei secoli hanno condizionato la lingua sarda sotto l’aspetto sociale, antropologico, politico, economico culturale”. Quindi, si parla di lingua “costruita a tavolino” perché priva, come qualsiasi lingua che si rispetti, di “qualsiasi sostegno storico, geografico sociale, strutturale” (B. Ferrer). Prova ne sia che proprio in questi giorni il Consiglio Regionale Sardo dibatte la Legge sulla Lingua Sarda, relatore è un noto studioso, scrittore, poeta e stimatore di tutte le varianti linguistiche del nostro idioma. L’assise regionale sin dall’avvio del dibattito assume un tono “surreale e confuso in cui domina sa tzarra” e “l’aria masticata, che fa male alla lingua sarda”. Così, in modo efficace, sulle pagine di questo giornale Luciano Piras ha voluto descrivere il dibattito che stava prendendo piede nell’aula regionale, per fortuna subito stoppato e rinviato a data da destinarsi. Quello appena descritto è un quadro che dal punto di vista politico denuncia la limitatezza dei nostri rappresentanti regionali, i quali dimostrano quanto siano lontani dal compito/dovere di dare alla nostra lingua un’impostazione politica ben definita, chiara, trasparente e dignitosa, al netto da certe ambiguità tattiche e campanilistiche che riducono la legge sulla lingua sarda al solito pomo conteso tra destra e sinistra.
La nostra lingua, dopo decenni di sterili dibattiti, meriterebbe ben altre attenzioni per la sua tutela e diffusione. Per esempio azioni mirate verso le famiglie aperte al bilinguismo, il quale si sviluppa pari pari con gli stessi principi del monolinguismo; famiglie consapevoli che le lingue s’imparano ascoltandole, creando frequenti opportunità d’uso, attraverso rapporti interpersonali e l’utilizzo di sussidi quali video, libri, giochi ecc. Ciò varrebbe, ovviamente, soprattutto per la lingua che risulta minoritaria (il sardo) visto che la primaria, o dominante (l’italiano), è già elevata a lingua standard. Il sardo per essere assorbito bene dalla gente, soprattutto dai bambini, deve ricevere rispetto e stima alla pari dell’italiano; il bilinguismo dovrebbe essere utilizzato liberamente in tutte le situazioni sociali e istituzionali: famiglie e scuole devono essere consapevoli del ruolo importante che devono svolgere in quest’ ambito. (D. Gabrielli – Istruzione Trento) Il libro di A. Mele queste cose le dice e le ripete, con la consapevolezza di chi sa che l’annoso problema sull’identità del popolo sardo non può prescindere dal patrimonio linguistico.

2 Commenti a “Il sardo: una lingua e due macro varietà”

  1. Francesco Casula scrive:

    Ponimus chi su chi iscriet Mele siat beru e giustu. Ismentigat chi sena istandard, non bi podet èssere peruna ufitzializatzione e sena ufitzializatzione sa limba sarda est destinada a si nche mòrrere o a èssere cunfinada in carchi furrungone, in carchi festa de bidda pro cantare batorinas e noitolas. O impreada pro nàrrere brullas, carchi paristòria o, si nono, paràulas malas, e frastimos. Deo so cumbintu chi oe, subra de s’istandardizatzione, pro lu nàrrere a sa latina: ”non est discutendum”. Ca ischimus bene chi sena s’unificatzione de s’iscritura, peruna limba si podet imparare in sas iscolas, si podet impreare in sos ufìtzios, in sos giornales, in sas televisiones, in sas retes informàticas, in sa publicidade, in sa toponomastica. Calincunu narat: faghimus duos istandard: unu pro su logudoresu e unu pro su campidanesu. Semus giai male unidos e cherimus galu ateras divisiones? E, in prus,: pro ite duos e non tres, bator, deghe, 365, cantas sunt sas biddas sardas e su “dialetto” issoro? E in ue agabbat su campidanesu e in ue cumintzat su logudoresu? E esistit unu campidanesu e unu logudoresu o bi nd’at medas? Sa LSC no andat bene? La curregimus, la megioramus, la irrichimus, la mudamus
    E sos “dialetos locales”? Chi sunt una richesa manna, non b’at perìgulu chi si nche mòrgiant? Est a s’imbesse: cun una limba ”istandardizada”, una Limba chi siat una “cobertura” pro totus, est prus fatzile chi sigant a campare; sena limba istandart si nche morint peri issos.

  2. Graziano Pintori scrive:

    Istimau professore, non la pesso che a bostè. Ritengo la L S C una specie di esperanto spoglio di quegli accadimenti storici, politici, sociali, economici ecc. che, con il trascorrere del tempo, hanno reso il nostro idioma bello, ricco, attuale. Lo hanno reso vivo perchè sottoposto a continua evoluzione, grassias a su populu chi dae sempere l’at praticau. Pesso chi su logudoresu siat dinnu de essere limbazu sardu ufissiale ca unificat, proite est sa limba de sos poetas chi ana cantau in 365 prattas ube si chistionabana 365 faveddos diversos. Peri su campidanesu est dinnu de essere onorau comente limbazu natzionale de Sardinna, ca dominat paris a su logudoresu. Comunque sia, il problema non si risolve scrivendo e ascoltando chentu concas e chentu berrittas che da decenni, in modo datato e ripetitivo, non approdano a concrete soluzioni. Ciò che serve è la determinazione seria, responsabile e consapevole della classe politica regionale, alla quale è riservato il peso della responsabilità di decidere quale lingua ufficiale debba essere riconosciuta e istituzionalizzata per la RAS. A medas annos.

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