Padri della Patria

16 Ottobre 2008

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Gianluca Scroccu

Secondo il presidente Silvio Berlusconi Italo Balbo, in Libia, fece delle cose buone. L’affermazione del premier alla festa dei giovani di An lo scorso settembre ha destato sicuramente stupore, ma non è la prima volta che il premier si distingue per dichiarazioni azzardate e accomodanti sul fascismo (ricordiamo l’intervista allo “Spectator” dove disse che il fascismo mandava i suoi oppositori in “villeggiatura” a Ponza, Ventotene, Ustica ecc.). Si è pure vantato, il Presidente del Consiglio, di aver pronunciato queste dichiarazioni di fronte a Gheddafi, il quale avrebbe ricordato come con Balbo governatore si videro sì caserme e opere pubbliche, ma solo per i colonizzatori italiani, non certo per i libici. Ma chi è stato Italo Balbo e quale ruolo ebbe nel regime? Nato a Quartesana (provincia di Ferrara) nel 1896, figlio della piccola borghesia (il padre era un maestro elementare), partecipò alla Prima Guerra Mondiale dove si distinse per le sue azioni spesso ardite (e in effetti non gli mancò mai la spavalderia e il gusto della ricerca per il gesto ad effetto); giovane repubblicano, trovò poi nel fascismo il movimento adatto ad interpretare quelle pulsioni di cambiamento e di rivoluzione rispetto alla vecchi politica dell’età giolittiana a cui si sentiva più vicino. Si iscrisse al fascio di Firenze, la città in cui concluse gli studi universitari, per tornare poi a Ferrara dove fu uno degli organizzatori dello squadrismo al servizio dei grandi proprietari terrieri che si servivano della violenza fascista per distruggere le cooperative rosse e bianche. Fu uno dei quadrumviri che guidarono la marcia su Roma; capo effettivo della Milizia nel biennio 1923-24, la sua carriera ebbe una battuta d’arresto quando fu costretto alle dimissioni per le ripercussioni derivanti dall’assassinio brutale di Don Minzoni, il coraggioso parroco antifascista del piccolo paesino di Argenta di cui fu accusato di essere il mandante, anche se uscì assolto grazie ad un processo chiaramente costruito ad arte. Due anni dopo, nel novembre del 1926, fu nominato sottosegretario del ministero dell’Aeronautica, per esserne promosso Ministro nel 1929. Fu proprio con l’aviazione che Balbo emerse come uno dei più capaci propagandisti del fascismo, esaltandone l’immagine di potenza e ricerca di modernità. E questo soprattutto grazie alle sue spettacolari trasvolate oceaniche in idrovolante (in particolare la prima in Brasile nel gennaio 1931 e la seconda in America del Nord nell’estate del 1933, conclusasi con un successo straordinario che ne fece un eroe sia negli States, dove gli furono intitolate strade e dove venne addirittura nominato Capo Indiano dai Sioux, sia in Italia), azioni che suscitarono peraltro le invidie del Duce che non gradiva di essere offuscato dal più giovane gerarca. Ed in infatti Mussolini lo mandò a fare il governatore in Libia per sei anni, a partire dal gennaio del 1934, subito dopo il regno di Badoglio e Graziani (sotto i quali erano morti diverse migliaia di libici, comprese le popolazioni nomadi della Cirenaica che erano state deportate lungo la costa). Balbo fece certamente chiudere alcuni campi di concentramento dove venivano rinchiusi gli oppositori indigeni (aveva capito che l’orrore genocidiario che avevano compiuto i suoi predecessori era stato sufficiente), anche perché pensava che le regioni settentrionali della Libia dovessero diventare parte integrante del territorio nazionale. Certamente aprì scuole, rese meno “efficace” le leggi razziali in territorio libico, permise la costruzione di moschee, inaugurò la litoranea da Tunisi all’Egitto e incoraggiò una politica urbanistica ispirata a criteri più moderni, ma questo solo con l’intento di italianizzare la Libia, dove non a caso fece arrivare più di ventimila coloni dalla Penisola. Non mancò, comunque, di utilizzare il pugno duro nei confronti dei ribelli e di adottare un regime che restava di fatto segregazionista nei confronti dei legittimi abitanti (amministrando anche con un certo sfarzo principesco che scadeva sovente nel ridicolo, specie nelle feste che organizzava nella sua residenza di Governatore). Balbo, del resto, era dotato di un certo fiuto politico, e non approvò né l’alleanza con la Germania né le leggi razziali del 1938, anche se non manifestò mai apertamente il suo dissenso in pubblico perché sapeva che nel regime fascista non si poteva alzare la voce. Con l’ingresso dell’Italia in guerra, sperò di poter condurre dalla Libia una spedizione rapida contro i possedimenti britannici in Egitto, ritenendo che in Nordafrica l’Italia potesse giocare un ruolo decisivo. Ma proprio a Tobruk incontrò la morte, il 28 giugno del 1940, abbattuto dal fuoco amico (si disse, in realtà con nessuna prova, che ci fu lo zampino di Mussolini, ma la sola voce dimostra, come ha sostenuto lo storico Giorgio Rochat, che in realtà il clima del regime non fosse tutto all’insegna della compattezza granitica attorno al Duce). La sua morte prematura lo salvò dal coinvolgimento nelle successive catastrofi che avrebbero distrutto l’Italia, ma il giudizio della storiografia su di lui resta invariato: fu un fascista convinto  e come tale sostenne con convinzione uno dei tre totalitarismi che insanguinarono il mondo durante il XX secolo, portando lutti e distruzioni.
Per una bibliografia minima su Balbo e sul colonialismo italiano in Libia:
A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Vol. 2, Mondadori 1997;
Id., L’ Africa nella coscienza degli italiani. Miti, memorie, errori e sconfitte, Mondadori 2002;
Id., Italiani, brava gente?, Neri Pozza 2005;
N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino 2007;
A. Del Boca (a cura di), Le guerre coloniali del fascismo, Laterza 2008;
G. Rochat, Italo Balbo. Lo squadrista, l’aviatore, il gerarca, Utet 2003;
E. Salerno, Genocidio in Libia, Manifestolibri 2005;
C. Segrè,  Italo Balbo. Una vita fascista, Il Mulino 2000;

1 Commento a “Padri della Patria”

  1. Bachisio Bachis scrive:

    Articolo utile e interessante. Sul Balbo fascistissimo degli albori, segnalerei due testi che si riferiscono ai fatti di Parma, nel 1922, poco tempo prima della marcia su Roma: uno è il romanzo Oltretorrente, di Pino Cacucci; l’altro è la trascrizione di un radiodramma dei ’70, di Nanni Balestrini, e s’intitola: Parma 1922 – una resistenza antifascista.

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