La giustizia non vive in Turchia

19 Febbraio 2020
[Emanuela Locci]

La notizia che Osman Kavala è stato giudicato innocente dal tribunale che oggi lo ha giudicato è stata accolta con soddisfazione da moltissime persone. Le stesse persone cadute nello sconforto quando dopo sole sei ore si è appreso che lo stesso Kavala, uomo d’affari di fama internazionale e filantropo è stato accusato dal procuratore capo di Istanbul di essere un organizzatore del tentato colpo di stato del 2016. Il mandato di cattura è stato notificato in carcere, non c’è stato neppure il tempo di uscire. Questa notizia è la palese dimostrazione che la giustizia turca è ormai asservita, piegata al potere politico. Quello stesso potere politico che ha lasciato Kavala e tanti altri che subiscono la stessa sorte, per più di due anni in carcere, accusati di reati che apparivano fin da subito strumentalizzati dai poteri forti turchi. Oggi, e non è la prima volta, basti ricordare lo scrittore Ahmet Altan, che era stato scarcerato, il 4 novembre 2019, Il 12 novembre 2019 è tornato in carcere a seguito del ricorso della procura contro la sentenza di scarcerazione e il 7 gennaio 2020 la Corte di appello di Istanbul ha confermato la condanna a ulteriori 5 anni e 11 mesi, si è scritta una delle pagine più oscure della storia della Turchia moderna. È evidente al mondo intero che Kavala, come Altan è un prigioniero politico, un pericolo vivente per il governo autoritario di Ankara, eppure nessuna istituzione internazionale, nessuno Stato muove un dito per risolvere questa situazione. La Turchia dimostra in questo modo di non essere più un paese civile, non esiste più la giustizia, il diritto è solo una parola vuota. Nessuno diritto, nessuna considerazione per i diritti umani, nessun valore per la vita umana.

Questa è la Turchia, oggi 18 febbraio.

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