La meglio gioventù

1 Gennaio 2015
wwoof
Cristina Ibba

Ore sette del mattino: colazione, caffè lungo, pane e marmellata fatti in casa, frutta di stagione. Controlliamo com’è il tempo, definiamo i lavori della giornata. Poi ognuno/a si dedica ai suoi compiti, tutti diversi, ma complementari.
Si va a raccogliere olive, a piantare piselli e fave, nell’orto a prendere zucchine, melanzane e pomodori, a tagliare legna, a ristrutturare un vecchio mobile trovato vicino ad un cassonetto della spazzatura.
Si chiamano Aud, Marion, Tom, Shannon, Annie Marie, Daniel, Susanne, Agathe, Rita, Miguel, Patricia, Bertrand, Mailin, Connor, Ramsey. Vengono dal Canada, Stati Uniti, Germania, Francia, Olanda, Malta, Spagna, Italia, Gran Bretagna. Sono giovani wwoofers ovvero giovani che appartengono ad un movimento mondiale WWOOF (word wide opportunities on organic farms) che mette in relazione volontari e progetti rurali naturali, promuovendo esperienze educative e culturali basate sullo scambio di fiducia senza scopo di lucro, per contribuire a costruire una comunità globale sostenibile. Sono giovani quasi tutti laureati, con voglia di imparare, di collaborare alle attività più disparate, che hanno la capacità e la curiosità di adattarsi ad altri stili di vita. Le parole chiave del progetto sono accoglienza e scambio, scambio generazionale, per trasmettere conoscenze, pratiche e saperi. Ma anche scambi di emozioni, di racconti di vita, di viaggi, di passioni.
Sono tutte storie sorprendenti ed emblematiche, sono tutti ragazzi che, dopo aver terminato gli studi, decidono di girare il mondo, a volte per un solo mese, altre volte per un anno o più. Assomigliano un po’ a quelli che Andrea Bertaglio nel suo libro semi-autobiografico chiama “Generazione decrescente”.
Grazie agli sforzi dei genitori, gli individui della generazione decrescente sono cresciuti in un mondo ovattato, che ha permesso di viziarli, dando loro più di quanto avessero realmente bisogno. Una generazione divenuta adulta con l’idea che desiderare sempre di più fosse naturale e giusto, e che quindi oggi pretendono di ottenere subito e tutto, e non solo il necessario, senza sforzarsi molto per averlo.
E’ anche quella generazione che si scontra con una realtà fatta di sfruttamento del lavoro, di difficoltà di mettere su famiglia, che ricerca la sola frivola materialità. Una generazione che si adegua alla condizione di disagio in cui vive e perde ogni capacità di reazione e ribellione. Ma è questo disagio soprattutto esistenziale che gli fa prendere coscienza che un’altra strada è possibile. Che è possibile mettere in discussione il mito implicito della nostra società di mercato (il mito del capitalismo), che è possibile uscire dall’ideologia insostenibile della competizione generalizzata e dell’accumulazione economica. Che è possibile uscire dal tunnel produci-consuma-crepa.
Questa generazione lo fa non pensando di ritornare alla carrozza o alle candele, e neanche costruendo chissà quale struttura ideologica. In loro c’è la consapevolezza che bisogna smetterla di consacrare la propria vita al consumo, allo spreco, all’accettazione di stili e modelli di vita insostenibile sotto ogni aspetto.
Una delle sfide è quindi quella di scoprire e sperimentare le fatiche e la ricchezza della vita contadina, in un’epoca, la nostra, in cui la crisi economica e culturale è un costante invito alla ricerca di alternative.
La profondità di un mondo antico e delle sue tradizioni e l’importanza di coltivare la terra con metodidiversi da quelli utilizzati negli ultimi trent’anni, testimoniano quello che viene definito un nuovo fenomeno sociale: quello del ritorno. Ritorno alla terra. Ritornano giovani laureati, famiglie stanche della dittatura del consumismo, disoccupati in cerca di una strada fuori dalla sopravvivenza, ritornano gli eredi di quella generazione che ha combattuto per avere il figlio dottore e che ora lo vede curare la terra dalla quale era scappato. Ma anche ritornano tutti questi saperi nelle città: ed ecco sorgere orti urbani un po’ ovunque, fattorie sperimentali, spazi verdi autogestiti, costruzioni con fango e paglia, pannelli di legno e lana di pecora.
Poi alle cinque d’inverno è già buio; si sta in casa, davanti alla stufa o al caminetto. Qualcono/a legge un libro di carta o con l’ebook-reader, qualcuno/a suona la chitarra. I discorsi di politica estera, che mi hanno appassionato fin dall’adolescenza, con loro non attaccano. Da qualunque parte del mondo provengano questi giovani sono totalmente diffidenti nei confronti delle organizzazioni politiche e sindacali e vedono nello Stato solo uno spietato esattore, che, non avendo più altre fonti, fa leva solo su quella fiscale, per garantire i privilegi di una sparuta oligarchia.
Hanno però grande consapevolezza che l’unico vero potere che possiedono non è il voto, ma la scelta responsabile di cosa consumare, soprattutto di cosa mangiare. Conoscono le politiche delle multinazionali dell’agro-alimentare e i danni che stanno provocando all’ambiente e alla salute degli esseri umani. Sono molto pragmatici, per loro ciò che conta è quello che fai, non quello che dici. Quindi c’è un netto rifiuto nel comprare prodotti inutili e inquinanti, perché è l’unico vero modo per combattere il consumismo. Il vero gesto rivoluzionario, per loro, oggi che comanda solo l’economia, è la scelta d’acquisto.
E poi inevitabilmente si parla anche di scuola. Si mettono a confronto i sistemi scolastici dei vari paesi. Sento i racconti delle loro esperienze e penso che non siamo poi messi così male in Italia. E il sistema sanitario, il nostro , è ancora uno dei migliori al mondo.
Sono molto interessati /e all’autoproduzione di beni, di servizi, agli scambi non mercantili fondati sul dono e la reciprocità. Vogliono ridurre nella loro vita il tempo dedicato al lavoro salariato, a favore dell’aumento del tempo dedicato alle relazioni, all’autoproduzione, alla coltivazione delle dimensioni dell’esistenza sociale, politica, culturale, artistica e spirituale. Sono i figli dell’economia del dono moderno, ovvero del volontariato, della collaborazione nella costruzione del software open o free, della condivisione dei saperi nei blog. Il dono per loro è un modo per esprimere un bisogno di relazione, di contribuire alla costruzione, al mantenimento e al rafforzamento delle reti relazionali.
Sono le sette del mattino, carichiamo i loro zaini nella mia macchina. Prima di andare a scuola li accompagno alla stazione. Un saluto caloroso, un abbraccio. E’ stata una bellissima esperienza per me e per loro. Ritorno alla mia routine, no. La prossima settimana arrivano altre due ragazze tedesche.

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