L’aumento del prezzo dei combustibili per le navi non è una sorpresa

16 Dicembre 2019
[Antonio Muscas]

Nelle ultime settimane si sono susseguite le reazioni scomposte di associazioni politiche e di categoria alla notizia dell’aumento del prezzo dei combustibili per le navi.

Mentre attualmente il valore limite del contenuto di zolfo nei combustibili impiegati nelle navi è del 3,5%, dal 1° gennaio 2020 non potranno superare lo 0,5% comportando con ciò un notevole aggravio dei costi che porterà ad un aumento delle tariffe dei trasporti stimato in circa il 25%.

Non si tratta però del cosiddetto fulmine a ciel sereno.

Infatti, il Consiglio europeo già dall’ottobre 2012 ha adottato formalmente la revisione della direttiva UE che limita il contenuto di zolfo dei carburanti utilizzati dalle navi nei mari dell’UE.

E così, a partire da gennaio 2015 il contenuto massimo di zolfo è stato portato dall’1,5% allo 0,1% nel Mare del Nord, nel Mar Baltico e nella Manica. Mentre, relativamente alle navi che navigano in altre acque dell’UE e nel resto del mondo, nell’ottobre del 2016, a Londra la Commissione protezione dell’ambiente marino (MEPC) dell’International Maritime Organization (IMO) ha stabilito i nuovi termini della convenzione MARPOL, portando il valore limite del contenuto di zolfo allo 0,5% a partire dal 1° gennaio 2020.

Non è perciò giustificato l’allarme di questo fine anno poiché si è avuto tutto il tempo per avviare un serio dibattito, fare le dovute valutazioni e prendere i necessari provvedimenti.

La maggiore contestazione sollevata in terra sarda è relativa al conseguente rincaro del prezzo del trasporto merci in ingresso e uscita che danneggerebbe ulteriormente la nostra già precaria situazione economica. Ma come si può vedere si tratta di provvedimenti decisi da tempo ed estesi al mondo intero e non certo improvvisi e circoscritti ai mari della Sardegna, come delle volte sembrerebbe di intuire, manco ci fosse una cospirazione contro di noi.

Perciò, prima di lanciarci in invettive contro governi europei e nazionali propongo alcune considerazioni allo scopo di andare oltre i presunti (e solo presunti) deleteri impatti economici immediati di queste nuove disposizioni.

Quanto inquinano le navi

Secondo quanto emerge dal rapporto della T&E (https://www.transportenvironment.org/what-we-do/shipping-and-environment) il trasporto marittimo è una fonte crescente di emissioni di gas a effetto serra e di inquinanti atmosferici responsabili di problemi di salute, piogge acide ed eutrofizzazione.

Si stima che tra il 2007 e il 2012 il settore navale abbia emesso circa 1 miliardo di tonnellate di CO2 all’anno, circa il 3,1% delle emissioni globali annue di CO2, (l’Italia al 2018 ha prodotto circa 426 milioni di tonnellate di CO2). Nel 2005, nei mari circostanti l’Europa, le emissioni di anidride solforosa (SO2) delle spedizioni internazionali sono state stimate a 1,7 milioni di tonnellate all’anno, le emissioni di biossido di azoto (NOX) a 2,8 milioni di tonnellate e il particolato (PM 2,5) a 195.000 tonnellate. Ai tassi di crescita attuali il trasporto marittimo potrebbe rappresentare circa il 10% delle emissioni globali di gas serra entro il 2050.

Come ridurre le emissioni

Al fine di ridurre le emissioni inquinanti si può agire, come si sta facendo, sulla qualità del combustibile ma è anche necessario ridurre i consumi attraverso diversi interventi tra i quali la riduzione della velocità e soprattutto attraverso la riduzione del traffico marittimo.

Uno dei maggiori problemi è rappresentato attualmente dall’incentivazione del trasporto marittimo da parte dell’Unione Europea attraverso la detassazione dei carburanti per le navi prevista dalla Energy Taxation Directive che garantisce al settore un sussidio di ben 24 miliardi di euro all’anno e va in direzione esattamente opposta agli obiettivi ambientali dell’Unione.

Inoltre, secondo una valutazione della Commissione europea, l’inclusione dei trasporti marittimi nell’European emissions trading system (ETS), il Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’UE, le emissioni di CO2 del trasporto marittimo potrebbero essere ridotte di 80 milioni di tonnellate entro il 2030 e si potrebbero ottenere oltre 7 miliardi di euro all’anno, da utilizzare per convertire le flotte a sistemi di alimentazione più sostenibili e secondo, lo studio di T&E, i prezzi dei beni finali delle merci trasportate aumenterebbero di un solo centesimo ad articolo.

Metano per i trasporti marittimi?

Per abbattere i livelli si zolfo si possono utilizzare carburanti più puliti ma più costosi o adottare tecnologie di abbattimento come gli scrubber.

Avrebbe però dovuto sorprendere tutti un fatto mai citato dalla cronaca attuale, ovvero il mancato impiego del metano o GNL per i trasporti marittimi.

Eppure vi sono anche recentissime affermazioni degli amici del GNL a sostegno dei depositi costieri di stoccaggio del metano per trasformare la Sardegna nella famosa hub del Mediterraneo, ovvero piattaforma di stoccaggio e smistamento per l’Europa e di rifornimento marittimo.

E invece, nonostante il prezzo vantaggioso e i grandi progetti messi in campo e sostenuti da organizzazioni politiche, sindacati confederali e confindustria, le principali società di navigazione hanno optato per un combustibile più caro del metano che dovrebbe comportare un sovrapprezzo rispetto a quello attuale di oltre il 50%.

Per quale ragione?

L’uso del GNL infatti presenta diversi problemi tecnici legati alle sue caratteristiche fisiche. Per cominciare ha densità energetica inferiore a quella dell’olio combustibile richiedendo perciò un volume dei serbatoi di stoccaggio circa doppio e deve essere mantenuto a oltre 150 °C sottozero. A ciò si aggiungono problemi di sicurezza per lo stoccaggio e il posizionamento e, per chiudere, vi sono da considerare i limiti infrastrutturali essendo molto limitati a livello internazionale gli impianti di rifornimento sempreché non si pensi davvero che tutte compagnie di navigazione per merci e passeggeri che solcano mari e oceani in giro per il mondo siano felici e disponibili a effettuare una sosta di rifornimento in Sardegna.

Saremmo pertanto portati ad affermare che con questa novità in arrivo cade uno dei pilastri con cui si reggeva la propaganda pro metano e restano non pochi dubbi sulle restanti ragioni con le quali si spinge per la metanizzazione della Sardegna.

Traffico merci da e per la Sardegna, danno o beneficio?

Il possibile rincaro delle merci da e per la Sardegna rappresenta realmente un problema per la Sardegna?

Ora, partendo dal fatto che il rincaro interesserà tutte le merci in giro per il mondo e quindi non esclusivamente la Sardegna, dovremmo interrogarci se realmente i prezzi vantaggiosi dei trasporti siano pure un vantaggio per territori come il nostro in cui le importazioni sono di gran lunga superiori alle esportazioni e interessano prodotti che noi non produciamo più perché non più competitivi.

Quando, per fare un esempio, trovo in commercio del pellet di provenienza canadese a prezzi più vantaggiosi rispetto al pellet italiano mi sorge più di un dubbio sui meccanismi di funzionamento del commercio internazionale e se poi penso alle poche società sarde di produzione di pellet a me note, fallite clamorosamente per via dell’impossibilità di produrre a prezzi competitivi, il dubbio diventa certezza. Com’è possibile che la Sardegna con poco più di un milione e mezzo di abitanti e oltre un milione e duecentomila ettari di terreno agricolo fertile importi oltre l’80% dei prodotti alimentari? Com’è possibile che un limone argentino costi meno di un limone sardo pur dovendo affrontare un viaggio di migliaia di chilometri dentro una cella frigo? Se il combustibile e l’energia fossero pagati per quanto valgono e non per quanto costano, quel limone arriverebbe in Sardegna allo stesso prezzo? Evidentemente no.

Quando in Sardegna si parla di trasporto merci si fa riferimento al pecorino romano in partenza per il mercato americano ma si omette di parlare dell’aglio olandese, del latte tedesco e il kiwi neozelandese, soprattutto si omette di dire che gli uni e gli altri fanno parte di un concetto malato di mercato e di economia che non prende minimamente in considerazione le conseguenze ambientali, sanitarie ed economiche di questa visione distorta e tossica della nostra società.

La transizione energetica non può avvenire semplicemente posizionando una pala eolica o un pannello fotovoltaico dove oggi c’è una centrale a carbone e lasciando immutato tutto il resto. Richiede un ripensamento della nostra società e dei meccanismi che la muovono a partire dai sistemi produttivi e dai consumi. A tutti i livelli.

Il risparmio energetico, per fare un esempio, non è esclusivamente un edificio coibentato; riguarda invece tutti i campi della nostra esistenza. Il traffico crescente delle merci in giro per il mondo è figlio della società consumistica compulsiva. Non ci sono soluzioni percorribili che contemplino il continuo depredare e dilapidare le nostre risorse naturali. Uno dei percorsi di transizione perciò deve avvenire riavviando le produzioni locali in maniera consona, rispettosa, sostenibile e limitata all’indispensabile.

Ognuno di noi deve svolgere la sua parte, cominciando dall’accrescere il proprio livello di attenzione e di consapevolezza.

Certo ci sono grosse responsabilità da parte della classe politica sarda e italiana – riferendomi con ciò a chi ci ha amministrato negli ultimi decenni – che ancora una volta dimostra di non essere all’altezza dei compiti imposti dalla situazione attuale. Una classe politica inadeguata e incapace, attenta esclusivamente a curare interessi di gruppi ristretti di amici e conoscenti.

Personalmente, ritengo l’aumento del prezzo dei combustibili navali un’occasione per la Sardegna, per rilanciare la nostra produzione e ravvivare l’economia.

Ma sarà necessario un notevole sforzo collettivo e saranno necessarie persone in grado di barcamenarsi in questo mare agitato e che abbiano chiara la rotta da seguire.

1 Commento a “L’aumento del prezzo dei combustibili per le navi non è una sorpresa”

  1. Luciano Lussorio Virdis scrive:

    Ottimo ragionamento, però allora non si capisce tutta l’opposizione alle energie rinnovabili.
    Le nostre eccellenze hanno costi economici, sociali e ambientali non più sopportabili; prova a raccontare che il sistema Arborea non è sostenibile, che è da anni sotto infrazione della direttiva nitrati, altro che pianura Padana, ma si pensa di esportare latte in Cina; prova a dire che il settore pastorale occupa l’88,58 delle terre coltivabili, di cui più dell’80% a pascolo, che importa quasi tutto il mangime e la maggior parte del foraggio necessario al suo sostentamento e che questo impedisce lo sviluppo delle altre produzioni agricole;
    https://www.dropbox.com/s/cg47rzab8psz7h3/2%20Sardegna%20agricoltura%20dati%20CREA.jpg?dl=0
    la peste suina, si dice che nei primi mesi del 2020 sarà debellata e quindi si apriranno nuovi mercati, la Cina in primis.
    Prova ad immaginare cosa succede se davvero si sviluppasse in quel modo assurdo quella filiera, altro che prezzo del latte a 1€.

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