Le conseguenze delle nostre scelte

1 Ottobre 2020

[Antonio Muscas]

Da dove arriva tutta questa plastica? Dalle nostre scelte. La plastica non si elimina riciclandola ma evitando di produrla. Ciò non significa demonizzarla. La plastica ci ha permesso di fare cose inimmaginabili, in poche parole ha permesso al genere umano un enorme progresso in tutti i campi.

Il problema perciò non è la plastica in sé, ma il suo utilizzo improprio e smodato. Oggi abbiamo raggiunto una sufficiente consapevolezza per comprendere gli enormi limiti di questo materiale e i gravissimi e crescenti problemi ambientali derivanti dal prodotto plastico una volta diventato rifiuto.

La principale incriminata è la plastica usa e getta: buste, contenitori, imballaggi, bottiglie, cannucce, piatti, bicchieri …; ovvero ciò che maggiormente ritroviamo poi disperso nell’ambiente.

Nuovi prodotti in molti casi aiutano a sopperire alla plastica, anche se spesso si tratta di cure peggiori del male, come lo sono certi tipi di bioplastiche o di prodotti alternativi i cui processi di produzione e finanche lo smaltimento hanno maggiori costi ambientali.

Nella maggior parte dei casi a dover essere messo in discussione è il nostro stile di vita, ovvero la nostra abitudine quasi ossessiva all’usa e getta, all’acquisto di prodotti senza prestare attenzione al loro imballaggio, all’acquisto stesso di prodotti senza pensare che presto o tardi diventeranno rifiuto, e sarebbe doveroso perciò chiederci se realmente ne abbiamo bisogno e che fine faranno quando ce ne disferemo.

Spesso nei cittadini non manca la volontà ma si presentano forti limiti dovuti al contesto, in quanto ci ritroviamo impossibilitati a poter scegliere, come quando non abbiamo disponibilità di prodotti sfusi, privi di imballaggi o con imballaggi non plastici, o di prodotti alternativi alla plastica ed effettivamente riciclabili.

In questi casi è la politica a poter e dover fare la differenza, intervenendo con leggi e regolamenti, divieti, programmi specifici, incentivi, premialità, con la promozione di percorsi virtuosi, offrendo o favorendo soluzioni realmente alternative e percorribili.

Il Kenya rappresenta nel mondo un esempio virtuoso: grazie ad una petizione promossa da James Wakibia, un avvocato ambientalista e giornalista fotografico, dal 2017 ha imposto severe limitazioni all’uso della plastica e ne ha messo al bando diversi tipi monouso, compresi i sacchetti. In Africa sono 34 paesi su 52 ad aver bandito i sacchetti.

Per contro, i paesi cosiddetti sviluppati continuano a produrre plastica in eccesso, illudendo i cittadini che differenziare sia sufficiente a tenere sotto controllo i rifiuti. Come conseguenza l’Italia nel 2018 ha esportato quasi 200mila tonnellate di rifiuti plastici, risultando undicesima nella lista dei paesi esportatori di rifiuti plastici al mondo, mentre gli Stati uniti, primi esportatori al mondo, come riportato da un’inchiesta del New York Times pubblicata su Internazionale, arrivano a produrre plastica in misura 16 volte superiore a quella di molti paesi poveri e, non sapendo dove mettersela, ne esportano ogni anno 700mila tonnellate verso 96 paesi, compreso il Kenya, adottando vere e proprie pratiche di coercizione e attraverso metodi truffaldini. I rifiuti, infatti, per poter essere ricevuti da paesi terzi, vengono dichiarati riciclabili, ma come evidenziato da numerose inchieste finiscono ammucchiati, interrati, bruciati o buttati nei fiumi e nei mari. L’aspetto buffo – se così vogliamo definirlo – in questa vicenda è che pensiamo di liberarci dai nostri rifiuti spedendoli via mare verso destinazioni lontane, e via mare, dalle stesse destinazioni lontane, parte dei rifiuti ritorna nelle nostre spiagge.

A farla da padroni in questa faccenda sono le lobby del petrolio; queste al fine di promuovere ed estendere la produzione e il consumo della plastica esercitano pressioni sui governi, così anche da impedire la messa a punto di sistemi di tutela ambientale e di limitazione e divieto dei prodotti plastici, o di smantellare i sistemi già esistenti, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

Il ruolo della politica perciò e fondamentale, ma ci vogliono figure di spessore, preparate, consapevoli, coraggiose e credibili.

Un ruolo importante è giocato dagli amministratori locali: laddove si è a più diretto contatto con le comunità è più facile promuovere e sperimentare pratiche virtuose e si subisce meno la pressione delle multinazionali. Malauguratamente però, troppo spesso abbiamo a che fare con amministratori improvvisati, incapaci di comprendere appieno l’importanza del proprio ruolo e soprattutto le conseguenze delle proprie azioni.

Chiaramente nessuno degli amministratori ai diversi livelli preso singolarmente è il responsabile di tutta la plastica riversata in mare, ma ciascuno di loro se ne rende corresponsabile quando, oltre a svolgere male il suo lavoro, impedisce ad altri più preparati e motivati di ricoprire quel ruolo, con l’aggravante di dare un pessimo esempio, in particolare alle persone e ai giovani che si pretende di educare. Peggio delle persone disinteressate e insensibili, ci sono gli amministratori impreparati, quelli che spesso inconsapevolmente, senza necessità di essere messi sotto pressione, ricattati, minacciati, corrotti, si fanno veicolo della distruzione ambientale.

Quando vedo le nostre spiagge invase da miliardi di frammenti di plastica, penso a quanto sono comodi i sacchetti in plastica, quanto è facile ed economico acquistare bevande e prodotti imballati, a quanta innocenza e inconsapevolezza c’è nelle nostre azioni; e di rimando penso al ruolo fondamentale dell’educazione: ma chi educa gli educatori? E chi educa gli amministratori?

Prendere coscienza del problema e della sua reale portata è compito di tutti, così come farci portavoce e promotori a tutti i livelli di ogni intervento utile a risolverlo o ridurne l’impatto.

Nell’immagine: plastica a Bosa

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