Leggi elettorali e Costituzione

16 Marzo 2014
William_Hogarth_032
Gianfranca Fois

In tutto l’Occidente è in atto una profonda crisi dell’idea di rappresentanza, crisi che si aggiunge e si interseca con la crisi complessiva che colpisce il mondo come lo abbiamo conosciuto sinora.

Il potere degli stati nazionali si indebolisce sempre di più, i confini si fanno incerti, anzi spariscono per lasciar passare merci ma soprattutto capitali finanziari e nuovi poteri internazionali non eletti sembra che ormai ci dominino e ci governino. Questo determina ostacoli e problemi per le società democratiche che rischiano di veder sfaldarsi i diritti acquisiti negli ultimi due secoli con le lotte e col sangue.
Questi cambiamenti profondi stanno segnando il nostro mondo in tutti i campi e ci costringono a riprendere in esame le nostre certezze, i nostri punti di riferimento, di analisi e di lotta per impostare nuove battaglie con nuovi metodi.
Sarebbe impossibile dare conto di tutti gli aspetti della crisi che attanagliano l’uomo e la società, mi limito a quella, particolarmente profonda in Italia, della rappresentanza e della conseguente legge elettorale che si sta approvando in questi giorni.
Si sono appena tenute le elezioni in Sardegna e ci si appresta a impugnare la nuova legge elettorale, votata nel novembre scorso, in particolare su due punti: l’eccessivo premio di maggioranza e lo sbarramento troppo alto.
Nel frattempo si discute a livello nazionale dell’”italicum” , dopo che la Corte Costituzionale ha bocciato il così detto porcellum. La discussione alla Camera è stata vivace e aspra e anche contraddittoria, non a caso il semplice cittadino incontra difficoltà a formarsi un’opinione.
Perciò, per orientarci, penso sia utile partire dal testo della nostra Costituzione.
I nostri Costituenti, è il primo aspetto che balza agli occhi, non indicano alcuna legge elettorale, credo che abbiano fatto bene, una loro indicazione avrebbe cristallizzato un processo che, per sua natura, accompagna l’evoluzione storica ma soprattutto perché ritenevano che, in una Repubblica parlamentare, spettasse al Parlamento, che ha il potere legislativo, ideare e approvare una legge importante come quella elettorale.
Tuttavia hanno stabilito alcuni punti che deve tener presente qualsiasi legge elettorale perché possa essere considerata democratica.
Fondamentale è l’articolo 48 che dice che il voto è personale e uguale, libero e segreto, aggiunge infine che è un dovere civico per tutti. La domanda perciò è se l’italicum, e anche la legge elettorale sarda, corrispondano a questo articolo. Non mi pare, perché lo sbarramento troppo alto impedisce a milioni, o migliaia nel caso Sardegna, di cittadini di venir rappresentati in Parlamento, quindi i loro voti non sono uguali a quelli degli altri.
Inoltre esso è una spinta ad un’ulteriore disaffezione verso il voto. Se so che il mio voto non andrà ai principali partiti (due verosimilmente) e che quindi non avrò alcun rappresentante posso decidere di non ottemperare a questo diritto/dovere, crescerà perciò il dato di assenteismo già elevato in questi ultimi tempi.
A questo si aggiunge il “premio di maggioranza” del 15% per il partito o la coalizione che superi il 37% dei voti, nel caso non si raggiunga la quota minima si va al ballottaggio. E’ stato però sottolineato che il premio potrebbe scattare anche se si raggiunge solo il 20-25% grazie ai voti della coalizione che non producono seggi per i partiti minori. Ricordo che non vengono assegnati seggi alle forze di una coalizione che non superano il 4,5%, l’8% per i partiti non coalizzati e il 12% per le coalizioni.
Il che vuol dire che alcune forze saranno sovrarappresentate, altre sottorappresentate, altre non rappresentate.
Perciò il Parlamento che dovrebbe essere il luogo di mediazione dei conflitti della società, il luogo di inclusione delle minoranze perde la sua capacità di rappresentare appunto la società e di fare quindi politica.
Altro aspetto importante è quello delle preferenze, non presenti nel porcellum e non presenti nell’italicum come approvato dalla Camera. Tale norma era stata dichiarata incostituzionale anche se si apriva uno spiraglio nel caso di liste brevi, le liste ora pare che saranno più corte, con collegi plurinominali. Insomma pochissime persone delle segreterie dei partiti decidono chi in Italia dovrà fare le leggi che interessano tutti i cittadini.
Esistono altri punti importanti e fortemente criticabili impossibili qui da esaminare, vorrei ricordare soltanto che la legge elettorale è decisiva nella vita democratica di una comunità e ne determina il grado di democraticità appunto, di libertà formale e sostanziale e di diritti.
Tralasciando l’intenzione di cambiamenti costituzionali che fanno venire subito alla mente il report della banca statunitense JP Morgan con il suo attacco alle costituzioni europee posteriori alla sconfitta del fascismo, faccio un cenno al Senato che il presidente del Consiglio Renzi ha intenzione di eliminare, o meglio modificare profondamente, in quanto lo ritiene inutile. La proposta ha trovato adesioni soprattutto da parte di chi pensa così di tagliare le spese della politica o di chi pensa che il mondo attuale esiga velocità.
Non credo si debbano tagliare le spese della democrazia e della rappresentatività, eventualmente si possono abbassare le indennità parlamentari, e inoltre sono convinta che gli sprechi, molto più consistenti, si debbano eliminare in altri aspetti della politica, penso anche che, se c’è la volontà politica, con una buona organizzazione del lavoro la maggior parte delle lungaggini verrebbe eliminata.
Detto ciò, vorrei invitare a rileggere la discussione, pregnante, articolata e profonda che i nostri Costituenti fecero al momento della scelta di un bicameralismo perfetto, convinti che le leggi avessero bisogno di un ulteriore ripensamento prima di essere promulgate. Le vicende di questi giorni a proposito della legge elettorale dimostrano che avevano visto giusto.

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