L’Ucraina e noi

16 Giugno 2022

(Foto di Irene Montaruli)

[Guido Viale]

La Russia, cioè le forze armate della Repubblica Federale Russa, su ordine di Putin hanno aggredito l’Ucraina, ne hanno invaso buona parte del territorio, hanno bombardato infrastrutture, fabbriche e abitazioni, hanno ucciso diverse migliaia di ucraini, sia militari che civili, hanno costretto a fuggire dal paese più di due milioni di profughi e continuano nella loro avanzata.

L’Ucraina resiste e contrasta questa avanzata. Resistono le forze armate del paese e molti civili, prima riuniti in gruppi spontanei e per niente, o molto male armati – con la partecipazione di molte donne, persino nella preparazione di bottiglie molotov da opporre ai blindati russi – poi inquadrati, con la coscrizione obbligatoria per tutti gli uomini tra i 18 e 60 anni, nelle file delle forze armate. All’interno di esse sono state da tempo inserite, con un ruolo di primo piano nella guerra contro le contrapposte milizie del Donbass, che durava da otto anni, numerosi elementi di organizzazioni legate alla Nato e di chiaro orientamento nazista, come la cosiddetta Brigata Azov, responsabile anche delle sparatorie durante la rivolta di piazza Maidan (ma i nazisti sono da tempo largamente presenti anche nelle milizie avversarie del Donbass).

Non c’è alcun dubbio che l’aggressore sia l’esercito russo e che la resistenza armata dei combattenti ucraini sia una più che giustificata risposta a questa aggressione. Ma se le cose stanno così, perché non mandare armi al governo e ai combattenti ucraini che le chiedono?

Perché mandare armi per rafforzare la resistenza è alternativo a qualsiasi tentativo di far cessare questa guerra con un negoziato. O si fa una cosa o si fa l’altra. E falso che una resistenza più forte, perché meglio armata, o più prolungata perché in grado di ritardare maggiormente l’avanzata russa, migliorerebbe la posizione dell’Ucraina in un negoziato. E’ vero il contrario. Molti non si chiedono quale potrebbe essere l’esito del conflitto, ma è lì che bisogna guardare: come e quando potrà cessare questa guerra?

Con la resa del governo ucraino e l’instaurazione forzata di un governo fantoccio filorusso? Sembra altamente improbabile. Con un’occupazione del paese da parte dell’esercito russo destinata a protrarsi nel tempo in presenza di una resistenza armata che continuerà a dargli del filo da torcere? E’ improbabile che Putin possa accettare una prospettiva del genere senza adottare gli stessi metodi con cui ha a suo tempo raso al suolo Grozny e sterminato buona parte della popolazione cecena.

E’ però difficile che ciò possa avvenire nel cuore dell’Europa senza coinvolgere in modo molto più intenso i suoi avversari, cioè la Nato: aprendo così le porte a una guerra mondiale. Oppure si punta a un logoramento di Putin, nella speranza che nei piani alti del potere russo si faccia strada un’alternativa disponibile a trattare: non con l’Ucraina, o non solo con l’Ucraina, ma con chi dell’Ucraina ha fatto da tempo la posta in gioco di un confronto molto più ampio? O, ancora, che la guerra logori talmente non solo il potere di Putin, ma la coesione stessa della Federazione Russa, trasformando il suo immenso territorio in centinaia di Libie, di Iraq, di Sirie, con un patrimonio sterminato di risorse ancora da saccheggiare?

A giudicare dal comportamento delle parti in causa, che sono molte, sembra che la soluzione a cui si affida l’esito dell’invio di armi all’Ucraina sia una di queste due ultime.

Ma non è l’invio di armi a rendere impraticabile un negoziato; è esattamente il contrario. E’ la mancanza di qualsiasi serio tentativo di mediazione che spinge coloro che (per motivi politici o personali) non possono dichiararsi indifferenti a ripiegare sull’invio di armi senza interrogarsi sulle sue conseguenze.

Manca la mediazione, la proposta di una soluzione che accontenti, senza peraltro soddisfare, entrambe le parti – evitando “umiliazioni” che indurrebbero a perseverare nel massacro in corso – perché manca il mediatore. E’ mancato fin da prima dell’aggressione, quando pure i tamburi di guerra stavano già suonando (li suonavano a toni alti sia la Nato che il presidente degli Stati Uniti Biden, mentre Putin lavorava in sordina). E questo mediatore non poteva – e non può ancora – che essere l’Unione Europea, che però non può assumere quel ruolo perché tutta la sua politica estera – e la posta centrale di ogni politica estera che è pace o guerra – è inesistente, completamente sdraiata sulle decisioni, i dictat e gli interessi degli Stati Uniti, che da questa terribile vicenda hanno molto meno da perdere (e molto di più da guadagnare) di tutti i governi dell’Unione europea messi insieme.

Così, per colmare quel vuoto, il ruolo di mediazione è stato fittiziamente trasferito a Stati come la Turchia (che ha poco da mediare, dato che da anni sta infliggendo al Rojava lo stesso trattamento di Putin all’Ucraina), o a Israele (peggio ancora, perché lì il bombardamento dei palestinesi risale indietro di decenni) o, forse, alla Cina, che sull’indipendenza e neutralità delle sue minoranze interne è ancora peggio. Né lo può assumere, quel ruolo, un singolo Stato o Governo dell’Unione Europea, come si ingegna di far credere Macron, che ha in vista soprattutto le prossime elezioni presidenziali francesi (di Draghi, “il banchiere”, non è nemmeno il caso di parlare), perché la prima mossa diplomatica da compiere non è verso Putin o Zelensky, ma verso l’Unione europea. Per esigere e farle assumere, a costo di mettere in forse la sua stessa esistenza, una posizione coerente con gli interessi dei suoi popoli: che sono la pace e non il confronto armato con la Russia a distanza sempre più ravvicinata. Perché in queste circostanze, ma in generale sempre, il ruolo di mediatore lo può assumere solo chi fin dall’inizio si dispone in una posizione di terzietà. Come è ovvio. Il che non vuol dire abbandonare l’Ucraina, ma aiutarla a uscire dall’abisso in cui sta precipitando (e la stiamo facendo precipitare).

Diventare terzi: non armandoci di più e sacrificando all’industria delle armi quel che resta del welfare, come apertamente proposto da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera: obiettivo che prima di lui era già nei programmi della Nato e che è – purtroppo – una logica conseguenza per tutti coloro che non vedono soluzione della crisi diversa da un maggiore ricorso alle armi. Non solo quelle cosiddette “letali”, ma anche, o forse peggio, quelle della comunicazione, dell’informazione (o disinformazione) e della criminalizzazione del dissenziente; quelle che stanno instaurando in tutto il nostro paese un clima da “maggio radioso” (quello che aveva precipitato il paese nella Prima Guerra mondiale): armiamoli, facciamoli combattere e lasciamo che si scannino per conto nostro…

Inoltre, solo una parte veramente terza – e in questo momento non è certo l’ONU – potrebbe rilanciare l’iniziativa di corpi di pace e di interposizione da mandare a sedare il conflitto. Per farsi ammazzare dagli uni e dagli altri? No. Abbiamo visto in TV folti gruppi di cittadini e cittadine – soprattutto di donne – mettersi di fronte, o addirittura sdraiarsi davanti ai carrarmati. A loro va tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. E certo, senza aspettarsi risultati risolutivi, quanto più efficace, non solo nei confronti dell’aggressione, ma anche del resto del mondo che li sta a guardare, sarebbe un’iniziativa di interposizione organizzata, con la copertura di una parte dichiaratamente ed effettivamente terza, introdotta come un granello di sabbia nel meccanismo che sta macinando tante vite?

Ma il problema che ciascuno di noi, cittadine e cittadini dell’Europa e del mondo ci dobbiamo porre in queste circostanze è molto più generale.

Innanzitutto, fino a che punto l’aumento del potenziale bellico per così dire “convenzionale” non sconfina direttamente in quello nucleare? Sempre più smisurato il primo e sempre più dimensionato, in vista di un suo uso cosiddetto “tattico”, il secondo, riducendo così progressivamente ogni soluzione di continuità tra l’uso di un kalashnikov e l’immane arsenale nucleare di cui sono dotate le “Grandi potenze” e di cui cerca di dotarsi un numero crescente di potenze cosiddette minori.

E se Putin fa paura, perché a detta dei media è pazzo e potrebbe superare quel confine senza alcuna remora, quanto pazzi sono anche i generali della Nato e degli Usa, o i loro Presidenti, che continuano a ventilare la possibilità che quel confine venga varcato, non si sa, ed è indifferente, da parte di chi?

Qui emerge un tema di fondo che gli strateghi della guerra nucleare non hanno considerato, o non hanno messo in chiaro nella loro corsa a riempire di armi, di qualsiasi arma, il resto del mondo. Il rischio di varcare quel confine – che in qualche modo tutti, anche i pazzi, hanno presente – rende inefficaci anche tutti o quasi gli arsenali di tipo convenzionale. Così la Nato e gli Usa non possono utilizzare il loro arsenale, di cui hanno fatto sfoggio con continue esercitazioni e migliaia di uomini e mezzi di ogni tipo ai confini tra Russia e Nato negli anni scorsi, perché metterle in campo – e continuano a ripeterlo – aprirebbe un confronto tra potenze nucleari difficile da fermare. Così si devono accontentare di contrabbandare oltreconfine “un po’” di armi tradizionali, ancorché micidiali, come bazooka anticarro e razzi antiaereo, o meglio ancora, a farlo fare dai loro alleati europei, che possono così vantarsene pubblicamente per nascondere la loro mancanza di iniziativa per una vera soluzione prima di tregua: in attesa di poter sostituire (ma – dicono gli esperti – ci vogliono almeno cinque anni!) il gas russo con cui stanno finanziando la guerra contro l’Ucraina…

Sì, perché, nel frattempo, a venir cancellate dalla guerra non sono solo le città e le vite degli ucraini e delle ucraine, ma anche e innanzitutto il tentativo di far pace con la Terra, a cui in realtà quei governanti – che da trent’anni tengono in piedi l’inutile teatrino delle 26 COP sui cambiamenti climatici – non hanno mai creduto.

C’è la guerra! Allora largo al carbone, largo al gas di tutte le parti del mondo, largo a nuove ricerche e perforazioni (la guerra, hanno scritto, ha sconfitto Greta!). E largo soprattutto al nucleare (civile) facendo finta di ignorare quello che Macron aveva apertamente dichiarato meno di due anni fa: il nucleare civile non si reggerebbe senza il nucleare militare. Ma anche il nucleare militare non funzionerebbe senza il nucleare civile. E questa proposta la portano avanti (Cingolani) o la dichiarano già in via di attuazione (Draghi) proprio mentre l’incolumità delle centrali nucleari ucraine, investite dalla guerra (Cernobyl compresa) sta mettendo in forse la sopravvivenza stessa di mezza Europa, e forse anche più, senza nemmeno che la guerra in corso sia arrivata a oltrepassare la soglia del confronto nucleare.

E’ ora che almeno qui i duellanti rimettano le spade nel fodero. La popolazione europea si è divisa e contrapposta con toni sempre più accesi prima sull’alternativa profughi e migranti sì o no (che adesso sembra quasi scomparsa, dato che l’Ucraina ne sta producendo a milioni in pochi giorni); poi sì-vax e no-vax, che ha occupato gli schermi per una intera stagione. E oggi gli stessi toni, anzi peggio, ritornano nella contrapposizione tra favorevoli e contrari all’invio di armi, quando il vero problema è restituire all’Unione Europea una capacità di iniziativa per la pace.

[Da Pressenza.com]

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