Nessun rimorso: Genova dopo vent’anni

6 Agosto 2021

[Marirosa Pili]

Nessun rimorso, Coconino Press, luglio 2021, non è solo una serie di testimonianze o di contributi di artisti, è anche una storia dei sentimenti che, dopo vent’anni, il G8 di Genova suscita in chi l’ha vissuto, in chi l’ha sentito raccontare, in chi, per un motivo o per l’altro, non è andato.

L’impianto da fanzine lascia spazio a vignette brevi, a immagini senza commento, perché parlano da sole, a brevi episodi raccontati spesso in modo ironico, a manifesti e comunicati del 2001, a analisi dei reati di cui sono stat* imputat* i/le protagonist* di quel luglio caldo. E’ un’opera collettiva, il cui intento è non cancellare la memoria di una lotta, giusta. Ripristinare giustizia laddove non ce n’è stata, lo scopo non è commemorativo, Genova non è ancora finita.

SupportoLegale è un’associazione nata per difendere chi in quella lotta ha creduto e chi di quella lotta ha fatto le spese (il reato vago quanto altisonante di devastazione e saccheggio, tutto italiano, ha fatto fare e fa fare tutt’ora otto, dieci, dodici anni di carcere a molt*), è un’associazione che non si chiede se chi ha lottato lo ha fatto nel modo giusto, semplicemente non lascia sol* nessun*. Non si lava le mani come la sinistra istituzionale che si è discostata dalle modalità della manifestazione (sul lungo termine anche dai contenuti, ma questa è un’altra storia), non prende le distanze dal blocco nero, non fa figli e figliastri, non decide chi aveva ragione e chi no tra chi c’era. La terza di copertina recita che ogni sovvertimento, ogni rivolta ha un prezzo da pagare e si paga insieme.

Zerocalcare, classe 1983, con la sua inconfondibile ironia illustra il Genovasplaining, ossia le modalità della lotta spiegate da chi non c’era, da chi ancora condanna il lancio di un estintore scarico da sei metri di distanza, dopo un imbottigliamento imprevisto. Zerocalcare fa molto di più, non condanna nessuno.
Sorride di sé stesso diciassettenne al G8, ma non se ne vergogna, quando se non a 17 anni doveva credere così fortemente nelle idee che l’avevano portato lì? Fa un passo indietro, in quella manifestazione c’era chiunque, e si aveva ragione.

Per la mia generazione il G8 appartiene a quel passato recente dell’attacco alle Twin Towers, un allora presente filtrato dalle letture della televisione, da chi ha dato ragione al carabiniere, da chi non ha dato ragione al carabiniere ma ha condannato le modalità, da chi si è concentrato solo sugli infiltrati, dalla paura “dei black bloc” (termine che andrebbe espresso al singolare, in quanto tattica di protesta e non organizzazione, distinzione ancora poco diffusa), da chi di fatto non ha voluto vedere la portata enorme di un movimento di protesta mondiale. A vent’anni di distanza però parla finalmente chi quella lotta l’ha fatta, portando con sé un bagaglio tutt’ora contrastante di sentimenti.

La vignetta di Maicol & Mirco, nei riconoscibili tratti elementari, mette a nudo la vergogna di un padre che non ha il coraggio di rispondere al figlio che sì, lui a Genova c’è stato, con la madre. Il figlio l’ha saputo dalla nonna e chiede alla mamma perché il papà se ne vergogni, se avevano ragione, se erano loro i buoni.
Il sentimento della vergogna è stata una reazione indotta dalle letture che si sono fatte a posteriori degli eventi di Genova: la vergogna di aver fallito, di non aver portato a casa niente, di aver scampato le torture della Diaz e di Bolzaneto per un pelo, l’umiliazione di essere stati picchiati anche dalla forestale, la delusione e il dolore per un ragazzo di 23 anni ammazzato da chi doveva tutelare l’ordine, il peso di aver partecipato all’ultima manifestazione di quella entità, così inclusiva, così conclusiva.
Perché dopo quella lotta, che ha portato all’Italia una condanna per reato di tortura, i movimenti si sono ammansiti, la partecipazione si è ridotta. Lo scontro è diventato appannaggio “degli antagonisti” e non più lotta diffusa. E’ stato un momento di cesura nella partecipazione politica.
La memoria però ha anche un altro lato, che è linfa vitale. Marta Baroni aveva 12 anni quando Carlo Giuliani è stato ucciso, sceglie di disegnare le varie fasi di una scalinata alla Garbatella, le scritte per Carlo sono state cancellate e rifatte, “la memoria fa come le erbacce tra le crepe delle strade di Roma […], loro resistono e ricrescono sempre”.

Molto forti e bellissime le immagini quasi mute di Roberto Grossi, che mettono a contrasto la solitudine del corpo senza vita di Carlo e la solitudine di un cucciolo di orso polare in mezzo ai ghiacciai in scioglimento, le navi di container foriere di globalizzazione e i barconi delle migrazioni, lo scoppiare di un cassonetto incendiato e quello di una bomba in un paese in guerra per interessi legati al petrolio.
Per questo si è combattuto a Genova, e prima che a Genova a Seattle, a Napoli, a Québec. Le istanze del Social Forum di Porto Alegre erano giuste, erano razionali, erano sensate, l’averle ignorate no. La situazione mondiale del 2021 lo dimostra.

Altre tavole sui medici complici delle torture, sui “viva Pinochet” fatti cantare ai manifestanti, un approfondimento sul carcere improvvisato della caserma di Bolzaneto, in cui sono stati imprigionati in quel 21 luglio (senza cibo, con poca acqua, senza poter andare in bagno, con minacce di violenza sessuale, con botte sferrate con consapevole violenza, con gas irritanti emanati dall’esterno verso le stanze di reclusione) 250 manifestanti di tutte le nazionalità. Nessuno sapeva di questo carcere, a un certo punto della manifestazione semplicemente hanno iniziato a mancare partecipanti, il Genova Social Forum e gli avvocati scoprono della sua esistenza in itinere.

Fortissima la tavola di Prenzy, che rappresenta una mano istituzionale che stringe la mano insanguinata di un poliziotto, alle spalle un uomo torturato. E’ ancora scoperto il nervo sui mandanti di questo terrore. In Limoni, il podcast di Annalisa Camilli di Internazionale su Genova, Ida Dominijanni, leva 1954, filosofa, docente, attivista degli anni Settanta, dice che mai ha provato la paura di morire come a Genova, dove è crollato lo Stato di Diritto e si è istituito uno Stato di Polizia.

La Corte Europea dei diritti umani si è espressa in merito alla Diaz e a Bolzaneto, come sappiamo si è trattato di reato di tortura. Il grande processo mancante è quello su Piazza Alimonda, sull’omicidio di un ragazzo che poi è stato anche investito dal difender dei carabinieri da cui proveniva il colpo di pistola, che è stato ferito alla testa quando era in fin di vita con un sasso, ferita che non aveva prima di essere colpito dal proiettile, quando aveva ancora il passamontagna, che gli viene tolto quando già giace a terra.

Zerocalcare pubblica anche delle sue tavole del 2004, è un fumettista di vent’anni, il tratto è ancora impersonale. Si firma con la stessa rabbia di tre anni prima, e ancora, dopo diciassette anni, nessun rimorso.

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