Ormai è legge

1 Gennaio 2011

carta

Pierluigi Carta

“È una bella giornata” afferma la ministra dell’istruzione il 23 dicembre, e con un rogo di polemiche la riforma di Maria Stella diventa legge. Sono 161 i voti a favore, 98 quelli contrari e 6 gli ignavi. L’abbraccio dei senatori e i complimenti dei suoi pari suggellano la vergogna di un’Italia che sembra aver scelto la via da seguire, lastricata di ignoranza e oscurantismo. Altro che “Per aspera ad astra” o “fatti non foste per viver come bruti”, in Italia la strada dei giovani dovrà passare non dalle asperità ma dall’emigrazione o dal malaffare, per puntare non alle stelle ma a condizioni di vita minimamente accettabili. Seneca e Dante si rivelano maestri senza seguito e se fossero vivi loro sarebbero già scioperanti e facinorosi. E “Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo si spesse veggio”, il Petrarca, tuo vate, dovrebbe pur ammettere che “l’avara Babilonia ha colmo il sacco” e che le piaghe ormai son purulente. Piaghe piuttosto difficoltose da sanare, dato che scienza e istruzione sono alla gogna e l’università anela moribonda l’ultimo colpo di spada. La ministra insiste: “la riforma taglia gli sprechi e dimostra che il governo Berlusconi è l’unico che punta alla modernizzazione”, eppure passa all’unanimità al Senato il documento che urla a chiare lettere “le risorse non bastano”, e il Terzo Polo, scoprendo l’acqua calda, afferma che i finanziamenti sono i più bassi dei paesi OCSE, dopo la Slovacchia. Nel frattempo, gli studenti, i ricercatori e i precari hanno perso. Due anni di mobilitazione ad intermittenza, con picchi di eccezionale civismo, non hanno sortito alcun effetto. I media del potere son però riusciti a cogliere la palla al balzo e criminalizzare i giovani studenti, relegandoli in un’infima nicchia targata “bamboccioni” o “facinorosi”. Gli studenti italiani invece hanno dimostrato un vigore eccezionale nel mantenere sempre vivo il focolare del dissenso politico e contemporaneamente studiare, sostenere gli esami e laurearsi. Eppure questo sembra non bastare ad una schiatta politica che non manca occasione per criminalizzare, degradare ed offendere la sua controparte civile, delegando ad un Larussa il compito di dire “vigliacco” ad un ragazzo che osa sostenere un diverbio con un ministro della Repubblica. I ricercatori e gli studenti hanno cercato fino all’ultimo, dati alla mano, di far ragionare i nostri rappresentanti; i punti della riforma son stati scandagliati e messi a nudo nella loro inadeguatezza: i nostri professori sono i più vecchi dell’Ocse, la ministra allora li manda in pensione due anni prima per lasciare posto ai giovani rampanti, purtroppo viene bloccato anche il turn-over al 20% e come risultato avremmo dei vuoti didattici e cattedre deserte. I professori fanno carriera per mezzo di metodi tutt’altro che meritocratici? La Gelmini cambia la procedura e si adegua all’anglosassone tenure track (l’assunzione di un ricercatore a tempo determinato per 4 o 5 anni, per poi regolarizzarlo se dimostra talento), in Italia però mancherà il budget per la regolarizzazione. Riguardo ai 24 000 ricercatori italiani, età media 45 anni, la Gelmini ha previsto la copertura finanziaria per la conversione in professore associato per 9 000 di loro, per gli altri non c’è speranza. Svolgono il 50% della didattica? La cosa non riguarda i legislatori. Per il criterio meritocratico tanto preteso dalla Riforma, secondo il quale sarà legato al merito il 7% dei finanziamenti pubblici, manca ancora un metodo per definirlo e un’Agenzia di valutazione rimane un miraggio. L’Italia è riuscita a distinguersi nel corso della storia, si veda il Fascismo, la Mafia e il Trasformismo storico, di questi tempi si adegua di nuovo ai peggiori e non segue l’esempio dei nostri vicini: la Germania stanzierà 2,5 miliardi di euro entro il 2015 per la riforma del sistema universitario, la Francia invece rialza a 20 miliardi per l’istruzione superiore e per la ricerca. La ministra invece fa sparire il 10% del fondo per il finanziamento ordinario (700 milioni) e ne asporterà ancora il 26% dal fondo Borse di studio per il 2011. Qualche commentatore ha sostenuto che non si possono produrre riforme del sistema formativo senza una visione della società e del suo futuro. È vero, la Gelmini e Tremonti si limitano a scimmiottare logiche di mercato; bisogna aggiungere con scarso margine d’errore che il male della mancanza di una “visione” contamina molti politici contemporanei, e non solo nostrani. Per esempio Obama parla speso di reddito individuale e di crescita economica nazionale, affermando che l’istruzione di cui c’è bisogno è proprio quella che serve a questi due obbiettivi. Obama infatti ammicca a Singapore ed elogia Taiwan, i più avanzati centri di formazione tecnologica e scientifica, e il presidente americano afferma “stanno preparando i loro studenti non al liceo o all’università, ma alla carriera. Noi no”. E neppure noi a dirla tutta, però è cosa buona e giusta divincolarsi dall’assioma stringente “cose che servono = cose che preparano alla carriera”. Per concludere cito la filosofa chicagoana Martha C. Nussbaum, la quale sostiene che “una vita fatta di rispetto e ricca di contenuti, una cittadinanza attenta e scrupolosa, non sono mai citate come finalità per cui valga la pena investire tempo e denaro … bisognerebbe invece investire ed investirci per trasmettere certe qualità e certi valori alle generazioni future”.

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