Parchi e trivelle

1 Giugno 2013
Mario Cubeddu
Chi voglia avere una dimostrazione di quanto la politica sarda sia contradditoria, inconcludente, subalterna e irresponsabile, deve venire nel Montiferru, porsi in contemplazione delle sue cime arrotondate, dei vasti spazi ricoperti dal bosco, delle distese di macchia che degradano verso il mare. Dall’ambito della politica sarda di cui parliamo, poche persone si possono escludere: la qualità ideale, le motivazioni nell’operare scelte, la connessione con le esigenze del territorio sono spesso simili  a tutti i livelli, dalle amministrazioni periferiche al centro. Prendiamo ad esempio la politica ambientale. Chi voglia conoscere i pregi di quest’area può trovare informazioni  nella scheda descrittiva del distretto 12 “Il Montiferru”, inserita nel Piano Forestale Ambientale Regionale pubblicato in rete dall’Assessorato all’ambiente della regione sarda (www.regione.sardegna.it/documenti/1_5_20080214173430.pdf) . La ricchezza della flora e della fauna nel territorio (circa la metà è ricoperta da boschi e da macchia mediterranea) hanno portato la Regione sarda a proporre nel 1989 l’istituzione del Parco Sinis-Montiferru. Nei primi anni Novanta molte persone di buona volontà si sono trovate a discutere sul tema: il Parco va bene, o no, per il nostro territorio? Incide in maniera positiva o negativa sulle attività produttive? Le forme di governo del Parco sono democratiche e rispettose delle comunità locali? A Seneghe si fecero molte riunioni con i rappresentanti dei pastori e degli allevatori di bovini e con altri portatori di interessi sociali. La lettura dei documenti e l’atteggiamento flessibile dei rappresentanti della regione portarono alla fine i rappresentanti dell’amministrazione comunale, maggioranza e opposizione, a una risposta positiva: si, il Parco rispondeva alle esigenze della popolazione seneghese, tutelava il territorio, continuando allo stesso tempo a garantire l’esercizio delle attività tradizionali, il pascolo, il legnatico, il libero accesso alle risorse della montagna e delle colline.  Ma se i seneghesi dicevano di si, i rappresentanti degli altri comuni del Montiferru negavano invece il loro consenso. Il rifiuto non era accompagnato motivazioni serie e approfondite. Esso proveniva in sostanza dal timore che qualche interesse che poteva sentirsi leso, spesso senza alcuna ragione, come le paure dei cacciatori di limiti posti alle loro attività, provocassero una reazione negativa che  si sarebbe tradotta in una diminuzione del consenso alla propria lista e al proprio partito. Nessuna considerazione si aveva invece per le prospettive che una politica di tutela naturalistica avrebbe aperto per l’offerta turistica e la valorizzazione della locale produzione agricola e artigianale.   Così il Parco del Montiferru rimaneva sulla carta e la sua istituzione veniva accantonata dalla Regione sarda. La legge che lo istituiva non è però stata abrogata ed esso oggi vive la vita di un fantasma. A distanza di venti anni sugli stessi territori, ritenuti allora degni della massima tutela, piomba il “Progetto Cuglieri” di sfruttamento dell’energia geotermica nascosta nelle profondità del vulcano. Lo scopo è quello di costruire una centrale per la produzione di energia elettrica. Ciò che si farebbe sarebbe, in poche parole: la trivellazione di alcuni pozzi, sino a profondità vicine al mille metri,  la captazione dell’acqua calda, la trasformazione del calore in energia, il raffreddamento della stessa acqua tramite una alta torre di raffreddamento, lo scarico dell’acqua nel serbatoio di origine. I comuni interessati sono Cuglieri, Scano Montiferru, Seneghe, Tresnuraghes, Magomadas, Flussio, Sagama, Tinnura, Sennariolo, Santu Lussurgiu . La proposta viene dalla Exergia Toscana, una Società a Responsabilità Limitata con capitale versato di 21.000 euro. Questa piccola società si propone di ricavare evidentemente ricchi guadagni puntando su contributi regionali provenienti dal Piano Regionale di  Sviluppo e sui certificati verdi che pagano lautamente l’energia prodotta da fonti rinnovabili. L’azienda toscana sostiene che l’iniziativa avrà un “bassissimo impatto ambientale”. I superlativi in questo caso amplificano i sospetti, piuttosto che ridurli. Tutti sanno che allo scavo di pozzi si collegano pericoli di abbassamento del suolo e di compromissione delle falde superficiali, la rete delle vene d’acqua che sgorgano dalle sorgenti e costituiscono una delle grandi ricchezze del vulcano spento. Dai pozzi partiranno le tubazioni che porteranno l’acqua calda alla turbina, alla torre di raffreddamento svettante su pascoli, macchia, bosco, di nuovo al pozzo che la rispedirà sotto terra. Le acque calde del sottosuolo profondo contengono anidride solforosa, quella che odora di uova marce, arsenico, mercurio. Si dice che niente di questo arriverà nell’aria e nel suolo, ma la lunga esperienza del geotermico in Toscana dimostra sinora il contrario. La proposta di realizzare la centrale geotermica nel Montiferru e in Planargia pone delle domande prima ancora di suscitare le reazioni di cui subito parleremo. Come mai la si vuol fare in una delle aree di maggior pregio della Sardegna, quali personaggi e quali interessi hanno favorito l’arrivo dell’azienda toscana? Chi è il traditore che apre di notte la porta al nemico? Sinora le reazioni sono state di due tipi: il silenzio e il rifiuto. La prima forma di risposta sembra nascere dalla disinformazione degli amministratori e delle popolazioni. La seconda è merito di amministratori attenti a una difesa della qualità ambientale del proprio territorio che coincide con la difesa del presente e del futuro delle comunità che vi abitano. Una compromissione ambientale, vera o anche solo sospettata, danneggerebbe irrimediabilmente le produzioni di qualità dell’agricoltura e dell’allevamento. A Seneghe e a Cuglieri si produce un olio extravergine tra i più apprezzati d’Italia, a Scano si ottiene dalle pecore un latte di altissima qualità, a Seneghe, a Scano, a Santulussurgiu  il Bue Rosso si nutre al pascolo brado di erbe incontaminate. Tutto questo costituisce la base di un’economia, di relazioni sociali, di una cultura. Chi attenta a questi elementi mette in pericolo la vita e il futuro del Montiferru. E’ comprensibile la reazione di rifiuto delle trivelle e della centrale geotermica. Per il momento il calore nascosto nella terra è meglio che rimanga tale. Quando si deciderà di attingere a questa fonte in modo cauto, a basso impatto, questo dovrà avvenire sotto il controllo di una politica finalmente vicina alle esigenze dei cittadini e a vantaggio delle popolazioni locali, non dell’ultima espressione dell’avidità affaristica ai danni della Sardegna.

1 Commento a “Parchi e trivelle”

  1. Giacomo Oggiano scrive:

    Gentile Mario Cubeddu,
    sono un estimatore del Montiferru, anche se lo conosco meno rispetto ad altre aree della Sardegna. Comunque, a parte la flora degradata ma con qualche interessante enclave, anche belle rocce. Rocce che, come alcune tefriti fonolitiche, superano le soglie UE di radioattività per i materiali da costruzione. Ma non per questo demolirei Santu Lussurgiu. Certe norme le fanno i burocrati.Quanto ai permessi di ricerca geotermica è proprio un peccato che il Montiferru non abbia buone premesse per la geotermia in un’isola in cui, come ti muovi, incappi nell’acqua calda. Pensi ad una SPA a S.Leonardo. Altro che Benetutti o Sardara che – non me ne volgliano gli abitanti – mi sembrano Saturnia. E invece in Montiferru nulla, l’acqua che imbottigliano è fresca e anche un po’ scarsina.Vede,i criteri di chi chiede permessi di ricerca spesso prescindono dalle conoscenze geologiche e sono dettati, come per il solare e l’eolico, da intenti speculativi. Se,come nel suo caso,l’accostamento vulcano (disattivo da un paio di milioni d’anni) acqua calda è lecito, non lo è per una società che dovrebbe avere conoscenze di geologia fondate. Siccome bisogna dimostrare la compatibilità tra geologia e la risorsa indagata non dovrebbe esservi nessuna concessione. Quindi niente no triv e niente torri da paventare (non ci non ci sarebbero state in ogni caso,mica siamo a Larderello) nel Montiferru. In tutti i due casi un vero peccato. O no? Eh, beata la Coldiretti d’Arborea.

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