Portogallo. La geringonça si è fermata

21 Gennaio 2022

[Maurizio Matteuzzi]

Geringonça è una parola vagamente onomatopeica della lingua portoghese che sta a indicare qualcosa – un aggeggio o “un coso” – che a rigor di logica non dovrebbe funzionare e che invece per qualche misteriosa ragione funziona ma rischia di rompersi, fermarsi o andare in pezzi da un momento all’altro.

Nel gergo politico lusitano la geringonça è entrata con prepotenza sul finire del 2015, dopo le elezioni di ottobre, per designare la improbabile e per certi versi improvvisa alleanza di governo fra i tre partiti di sinistra presenti in parlamento: il Partito Socialista e il Partito Comunista, la sinistra storica, e il Bloco de Esquerda, la nuova sinistra. Un’alleanza improbabile e per certi versi improvvisa (basti pensare a quanto si detestassero il socialista Mário Soares e il comunista Álvaro Cunhal dopo la Rivoluzione dei garofani o quanto l’iper-ortodosso PCP detestasse i giovani gauchisti del Blocco di Sinistra) che servì a mettere fuorigioco il Partito Social Democratico (la destra moderata) di Pedro Passos Coelho che aveva vinto le elezioni ma gli mancavano gli 8 voti necessari per la maggioranza assoluta.

Quasi tutti credevano che quell’insolita alleanza, alimentata da António Costa, leader del PS e abilissimo articolatore di negoziati, pur sancita da un programma di governo a tre messo per iscritto, sarebbe durata pochissimo. Una geringonça, appunto.

Invece questo strano “coso” ha funzionato e ha continuato a funzionare per più di sei anni, e due legislature dopo aver vinto le elezioni del 2019, facendo del Portogallo e del suo governo di sinistra (seguito poi dalla Spagna del governo PSOE-PODEMOS) un caso quasi unico in Europa.

Adesso la geringonça si è fermata. Prima della scadenza naturale della legislatura, nel 2023, e dopo che il parlamento nell’ottobre scorso ha bocciato la legge di bilancio per il 2022 presentata dal premier Costa. A votare contro, come ampiamente anticipato, non solo la destra ma anche il PCP e il Blocco.

Lo scioglimento della Camera e il voto anticipato non erano automatici, si sarebbe potuto andare avanti con un governo socialista di minoranza impegnato a cercare di volta in volta (a sinistra o a destra) una maggioranza caso per caso e con una disponibilità finanziaria mensile di un dodicesimo della dotazione di bilancio dell’anno precedente. 

Un quadro troppo instabile di fronte a un passaggio estremamente complesso: una maggioranza politica rotta; una pandemia che con la variante Omicron in campo non dà ancora  segno di cedimento (nonostante il Portogallo abbia affrontato il covid al meglio: un tasso di vaccinazione dell’86.5% della popolazione,  probabilmente il più alto di tutta la UE, e un tasso di rifiuto, l’1-2%, fra i più bassi e i meno “politicizzati”);  soprattutto il mare di soldi in arrivo da Bruxelles sotto la voce PRR, Plano de Recuperação e Resiliência,  16.6 miliardi di euro da qui al 2026 che nel giugno scorso Ursula von der Leyen è andata di persona a Lisbona a mettere metaforicamente nelle mani di Costa.    “Un’opportunità d’oro per trasformare radicalmente l’economia portoghese”, una manna che fa gola a molti.

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