Questioni di crescita

1 Giugno 2008

Luciana Pirastu

La prospettiva della crescita economica, non priva di suggestioni, ci viene sbandierata in ogni occasione e additata come panacea buona per tutti i mali. La cosa può apparire accattivante a chi ha bisogno di uscire dall’incertezza e dalla paura, ma nello stesso tempo vorrebbe una crescita a misura d’uomo cioè a dire non soltanto per i guadagni dei soliti ignoti o per aumentare lo smog nelle città e riempire le discariche di materiale in disuso. A pensarci, sarebbe bello se si parlasse anche di crescita morale.
Il Governo, in unità di intenti con gli industriali, indica proprio nella crescita il punto centrale della sua politica, allo scopo dichiarato di produrre ricchezza; per tanti poveri cristi che centellinano il centesimo la domanda è d’obbligo: Ricchezza per chi?
I nati con la camicia, fautori della economia di mercato, magari con alle spalle patrimoni di famiglia, meritano comunque un riconoscimento: hanno acquisito sapienza nelle università anglo sassoni, conoscono le lingue, sono dotati di capacità dirigenziali e, zitti zitti, sono riusciti ad imporsi nel management con una politica finalizzata al massimo profitto. Ora occupano la scena mondiale, protagonisti assoluti nel bene e nel male
Dopo il crollo dei miti, il feticcio del mercato viene portato in pellegrinaggio in ogni dove e mostrato come stella polare, speranza e destino dei popoli. Dietro questo simulacro ci stanno i gruppi economici, l’alta finanza virtuale, le grandi banche che ormai governano, sgovernano e condizionano il nostro futuro. I risultati sono evidenti: disastri ecologici, guerre, smania di conquista dei mercati, lavoro nero, precariato, omicidi bianchi. La conclusione è semplice: quando vengono a mancare punti di riferimento positivi, valori etici e solidarietà, subentrano la filosofia degli affari, la mira del soldo, gli egoismi, la mancanza di scrupoli. Una scuola deleteria per le nuove generazioni. .
Senza dubbio lo sviluppo economico ci offre l’abbaglio delle grandi offerte e delle evasioni mediatiche, In teoria abbiamo tutti quanti grandi possibilità. Anche se ci si sente confusi, presi dal vortice dello sviluppo accelerato e chi non si adegua alla svelta rischia l’emarginazione. Ormai dipendiamo dalla tecnologia e dall’informatica, nessuno fa più un conto mnemonico e se le macchine vanno in tilt si blocca tutto. Intanto l’elettronica, al servizio di un orientamento mercantile, si insinua nel nostro privato. Ognuno di noi è osservato, spiato, visto come consumatore più che come persona e poco ci manca che, per le indagini di mercato, ci mettano qualche marchingegno nello sciacquone del bagno per coglierci nei momenti più intimi della nostra vita E’ cosa assodata, nonostante la privacy, i nostri dati personali circolano nei centri commerciali e si dilatano sul web. Certo non possiamo fermate il progresso, ma orientarlo si. Forse sarebbe il caso di fermarci a riflettere. per trovare un’alternativa.
Avevamo messo sull’altare l’utopia, nella visuale di una società di liberi e di eguali, un sogno alto per molti aspetti deluso, però il nucleo di fondo di quell’idea, scaturita da principi di giustizia sociale e libertà, non è da buttare. In nome di quei principi uomini e donne hanno speso lacrime e sangue negli anni bui del fascismo e con la Resistenza hanno ridato dignità al Paese di tutti; grazie a quelle lotte possiamo vivere in democrazia. La storia ci ha insegnato che è deleterio seguire i falsi profeti, ma non bastano le belle idee se non siamo capaci di realizzarle. Oggi, dopo l’esito elettorale, per i compagni di tante battaglie è doloroso vedere parte della sinistra storica fuori dal Parlamento.
Giorni fa Tremonti, ad una domanda dell’Annunziata, rispondeva che si dovrebbe tornare a leggere Marx e Gramsci. Il richiamo doveva venirci da un economista della destra.
La sinistra di Governo, nella sua breve vita, non ha convinto e su di lei si sono scaricati tutti i mali del mondo. D’altronde era fatale: non è possibile essere nel governo e all’opposizione in contemporanea.
La destra ha fatto un’abile campagna elettorale al vetriolo mentre il PD, dopo aver oscurato un’identità che veniva da lontano, ha risposto con tutti i riguardi. Purtroppo, in politica, il buonismo non paga e la sinistra si trova al guado.
Non è facile fare previsioni; per quanto si può capire, la nuova sinistra sembra orientata ad appiattirsi sulla politica di mercato. Ci si chiede: dobbiamo accettare per forza la formula della crescita, magari tentando qualche modifica di facciata? dovremo aspettare le briciole della ricaduta, nel produrre il profitto dei pochi? la strada è in salita e non è facile andare contromano, poi tra il dire e il fare ci sta di mezzo la globalizzazione. La scacchiera della politica si è dilatata e il gioco richiede il massimo dell’abilità.
Molti di noi hanno un sogno nel cassetto, quello di una sinistra unita nei valori della tradizione socialista che riaccenda una luce di speranza.

2 Commenti a “Questioni di crescita”

  1. Cristina Ronzitti scrive:

    Si, “la scacchiera della politica si è dilatata” . La “battaglia” politica per un miglioramento delle condizioni dei lavoratori va spostata verso livelli di potere più elevati quali WTO e UE . E dove il livello di democratizzazione non consente che tale battaglia venga fatta con i consueti mezzi, e cioè tramite l’azione politica diretta dei rappresentanti dei lavoratori, occorre in aggiunta battersi per la democratizzazione di tali istituzioni. Nell’attesa, secondo me occorre fare una battaglia per tenere le posizioni, affinchè la condizione dei lavoratori non peggiori ulteriormente.

  2. Paola De Gioannis scrive:

    L’equità sociale, la pace, la solidarietà non sono utopia. Sono un modo di percepire il mondo, pensarlo, progettarlo. Sono disegni dell’uomo non facili da realizzare ma pur sempre possibili. In accordo col pensiero di Luciana, è necessario interrompere l’omologazione dell’intero pianeta ad un sistema di valori regolati dal cinismo del profitto per costruire altri sistemi ispirati al superamento degli egoismi e alla composizione degli interessi. Il socialismo, parte centrale dell’Ottocento e poi del Novecento, ha dato voce a coloro che non l’avevano e restituito la speranza. Oggi la sfruttamento investe le risorse di interi popoli e il millennio che verrà dovrà ancora fare i conti con quell’idea di emancipazione umana. Dopo la caduta di quel sistema autoritario e illiberale che si autodefiniva comunismo, in Italia si è lasciato che un mondo di valori si accartocciasse su se stesso senza trovare il coraggio storico di un’analisi capace di affrontare la realtà. Si è rigettata con molta fretta, pezzo dopo pezzo, un’intera concezione del mondo quasi ad esorcizzare un irrazionale senso di colpa per essere stati parte di quel movimento che nonostante gli errori, ha espresso energie umane e categorie politiche di profondo spessore. E in un sempre più scoperto processo di subordinazione all’avversario,si va progressivamente assorbendo la sua visione delle cose.
    Nell’ultima campagna elettorale non ho sentito una sola volta la parola pace.

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