Sardi genetici

1 Marzo 2010

stigliz

Alfonso Stiglitz

Africa ipsa parens illa Sardiniae, la stessa Africa progenitrice della Sardegna, diceva Cicerone nella sua impetuosa arringa in difesa di Scauro. Il problema dell’origine dei sardi è stato da allora un tema molto frequentato; ancora oggi si sente il bisogno di avere certezze in materia, quasi che un solido primitivo ancoraggio originario ci permetta di affrontare il periglioso mare aperto del futuro. La nostra coperta di Linus, se mi si passa l’impertinenza.
Le analisi dei genetisti hanno definitivamente spazzato via la pretesa esistenza delle razze e la possibilità che le differenze somatiche possano essere considerate come indicatore valido per definire i vari gruppi sociali. Il fatto che, però, nell’ambito dell’analisi scientifica si continuino a indicare gli indici craniometrici come segnali di diversità di culture o, allo stesso modo, il colore della pelle, pensiamo alle ancora presenti visioni dei Fenici (o dei Shardana) come “i rossi”, lasciano la sensazione di un qualcosa di non ancora del tutto risolto nel rapporto con l’antropologia positivista che ebbe studiosi di elevata caratura come Giuseppe Sergi, che si occupò direttamente della Sardegna. Paradossalmente è proprio nell’ambito delle analisi genetiche che, qui in Sardegna, si sta aprendo un fronte estremamente delicato. La ricerca del DNA dei sardi, che nasce da importanti esigenze mediche e che sta dando risultati di notevole importanza, tende, in modo non del tutto inevitabile, a incrociare il cammino della ricerca storica e, in particolare, archeologica nel silenzio, se non nella acquiescenza di noi archeologi. Con passaggi, talvolta sovrapposizioni, tra il piano del DNA e quello della cultura, quasi che, il secondo derivi dal primo, un modo più raffinato di individuare le costanti biologiche del divenire umano. E se questo può essere facilmente smontato, ma non viene fatto, nell’ambito dell’uso spesso distorto che i mass media fanno di queste analisi, per cui le ricerche sarebbero indirizzate a trovare il DNA Sardo, inteso come qualcosa di definito e unico, differente da quello degli altri, e chiaramente identico a quello dei nuragici, più delicato e complesso è il discorso in ambito scientifico. Mi riferisco, ad esempio, al caso di libri nei quali buoni genetisti si improvvisano archeologi e descrivono la sequenza degli avvenimenti sardi mettendo in relazione il dato storico e culturale con quello genetico, facendo passare, inconsapevolmente o meno, il messaggio di una identità Sarda inequivocabilmente fissata nel DNA dei sardi preistorici. Il titolo del recente libro di Emanuele Sanna Nella preistoria le origini dei Sardi, indica chiaramente la scelta di identificare una identità complessa come quella sarda, con un unico referente, chiuso nell’antica preistoria e isolato rispetto ai “sardi di recente immigrazione”. Se poi aggiungiamo che una delle società dedite alle ricerche genetiche in Sardegna non ha trovato di meglio che chiamarsi Shardna, capite bene quali e quante siano le implicazioni alle quali le ricerche genetiche dovrebbero dare più attenzione. Indicativo è anche il recente rilievo dato dai mass media alla ricerca, senza alcun dubbio scientifica e condotta da studiosi di cui ho alta stima, nella quale il dato genetico delle differenze tra Ogliastrini e Galluresi e l’asserita vicinanza dei primi ai nuragici, porta sul piano storico a conclusioni direi fuorvianti, certamente non volute dagli studiosi, che in questo caso si mostrano un po’ apprendisti storici, attraverso l’utilizzo di metodologie, dati storici e modelli che avremmo preferito più approfonditi. Da parte mia continuo a ritenere che storicamente e culturalmente gli Ogliastrini attuali siano più vicini ai Galluresi attuali che non ai nuragici. Tornando al problema di fondo il modello storico assunto dai genetisti è dato da due fattori primari: l’isolamento geografico e la diffusione della cultura tramite migrazioni. Visioni datate che possono avere ancora una qualche valenza per la più antica preistoria, quando il mondo necessitava di popolarsi, ma caduche se ci riportiamo ai tempi, decisamente più complessi, dal neolitico in poi, che vedono la Sardegna al centro di articolate vicissitudini culturali, sociali, economiche e religiose. Il fattore “isolamento geografico” ha avuto un grande peso negli studi sulla storia sarda nei due secoli passati ed è presupposto come dato di fatto anche nelle analisi genetiche. Fattore accentuato dalla cantonalizzazione dell’isola, in tante microregioni separate le une dalle altre. È in sostanza il vecchio modello ottocentesco, di una geografia che condiziona l’uomo tanto da crearne le caratteristiche culturali (e genetiche). Il modello dell’uomo resistente, rinchiuso nelle montagne della Sardegna arcaica, solu che fera, che ha trovato nella costante resistenziale sarda di Giovanni Lilliu la più alta elaborazione storica e culturale. Ma è un modello che evidentemente confligge con le più aggiornate analisi archeologiche sulla Sardegna antica. Queste, invece, ci parlano di un’ampia apertura sin dal neolitico più antico, per giungere a un elevato grado di contatti tra l’isola e il resto del mondo (Mediterraneo e Atlantico) a partire almeno dalla seconda parte del II millennio a.C. e per tutto il successivo. Periodi nei quali la dinamica culturale è molto elevata e l’arrivo di componenti diverse è continuo; fino alle immissioni di coloni effettuate da Cartagine e da Roma. Il quadro, in sostanza è completamente differente da quello di un isola chiusa. Allo stesso modo il fattore migrazionista, caro alla vecchia archeologia, è oggi decisamente messo in discussione da più attente valutazioni dei dati storici e dei modi di trasmissione delle culture e delle lingue: fattore preponderante per il Paleolitico ma decisamente meno significativo a partire dalla tarda preistoria. Isolamento e migrazioni sono fattori, quindi, che risentono delle vecchie impostazioni antropologiche da rimettere decisamente in discussione e che non possono essere più assunti come dati incontrovertibili per la costruzione dei modelli di analisi genetica. In questo senso sarebbe opportuno un confronto più stringente con la ricerca archeologica, a partire dalla scelta del materiale osseo da utilizzare per le analisi, che non sempre è risultato situabile stratigraficamente in modo convincente. Così come sono assenti analisi estese ad ambiti cronologici e geografici sardi più ampi. Per chiudere, come hanno ampiamente provato i genetisti (da Cavalli Sforza a Barbujani per citare i più noti) discendiamo tutti da un piccolo nucleo di antenati africani che si mosse da quel continente 60.000 anni fa.
Che ci avesse azzeccato Cicerone?

1 Commento a “Sardi genetici”

  1. Sandro Ghiani scrive:

    Mi conforta questo articolo che sostiene col vigore di coerenti argomentazioni archeologiche l’idea che i sardi e la Sardegna non sono sempre stati isolati e chiusi, dominati e vilipesi ma che hanno avuto vicissitudini di apertura e di contatto. La prima volta che ho letto una storia dei sardi che mi è sembrata accettabile e non intrinsecamente incoerente è stato con “La vera storia della bandiera dei sardi” di Franciscu Sedda del 2007 che sfata i miti negativi dell’isolamento e della chiusura e dove anche la costante resistenziale è messa in discussione, ma finalmente vedo che anche altri giovani studiosi si pongono su altre prospettive di osservazione. Sembra che si comincino ad abbandonare i falsi miti delle origini e si possa fare la pace con noi stessi per guardare più serenamente al futuro.

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