Se le librerie diventano specchietti per le allodole della politica

16 Aprile 2020
[Marirosa Pili]

L’Adei (Associazione degli editori indipendenti) si era espressa negativamente riguardo la riapertura delle librerie subito dopo la pubblicazione dell’appello pubblicato dal manifesto nazionale che la auspicava. Il perché principale è il rischio oggettivo di trasformare, soprattutto per i colleghi e le colleghe del nord Italia (ma anche per Cagliari, che purtroppo negli ultimi giorni vede rialzarsi la curva dei contagi), le librerie in luoghi di oggettivo rischio sanitario.

Chiudere le librerie fa soffrire una filiera intera (come del resto vale per qualsiasi settore commerciale), quindi oltre ai librai soffrono editori e distributori. Non è a cuor leggero che molti e molte del settore si esprimono negativamente sulla riapertura. Ali (Associazione librai italiani) si esprime favorevolmente, lasciando alle singole librerie la scelta se aprire o meno durante una pandemia.

Ci si chiede se questa retorica stucchevole del libro che lo definisce “cibo per la mente”, o che definisce le librerie “farmacie per l’anima”, tenga conto delle problematiche oggettive di una libreria che deve aprire a città deserta. È stato senza dubbio un appello in buona fede, ma che non ha tenuto conto delle difficoltà e dei rischi a cui si espone chi sta in front office e in back. Riaprire le librerie significa anche riaprire i magazzini di distribuzione le consegne dei corrieri e molto altro.

Personalmente trovo ridicolo definire essenziale un’attività come quella delle librerie. Davvero non ci vedo come supereroi, come medici, infermieri, personale sanitario, addetti alle vendite di beni realmente essenziali, corrieri, rider, operatori ecologici. In effetti durante le epidemie di epoca moderna c’erano i menestrelli, adesso potremmo sostituirli noi, ergendoci a eroi e eroine salvatori e salvatrici della cultura ma, ahinoi, in un paese di non lettori. Fa davvero sorridere questa priorità.

Innanzitutto facciamo i conti col fatto che la libreria ormai si rivolge a un segmento di mercato molto preciso, il lettore e la lettrice forte. I lettori forti non hanno pilette di libri non letti in casa? Sembra strano dai professionisti e dalle professioniste dello tsundoku. E davvero pensiamo che il lettore debole, in piena recessione economica, andrà a creare file di decine di metri fuori da una libreria aperta?

La libreria aperta, come una qualsiasi attività commerciale, comporta dei costi (per esempio di personale) che vanno sostenuti, ci si chiede come, con le vie deserte.
Anche la libreria con la clientela più fidelizzata risente del passaggio e del movimento cittadino, nessuno ha messo in conto che in questo momento questo elemento potrebbe essere determinante?

La libreria in cui lavoro si è momentaneamente appoggiata a un’edicola. La risposta dei clienti è stata positiva più di quanto ci si aspettasse, ma è una risposta positiva lontana da quella che dovrebbe essere una fonte di sostentamento reale e dalla media degli incassi a pieno regime. Stesso discorso per i distributori, riapriranno il conto pagamenti ora che le librerie possono riaprire?

Questa arbitrarietà nella scelta di riaprire o meno lascia diritto a chi decide di non farlo di accedere a forme di tutela economica come ad esempio la cassa integrazione? Quali misure di sanificazione locali si dovranno adottare? Quali premure per la tutela degli operatori e delle operatrici, oltre che ovviamente dei clienti, si dovranno prendere in questa situazione?

Già alcuni e alcune di noi avevano perplessità sulla selezione dei metodi di vendita di beni più o meno essenziali. Il commercio online, Amazon in primis, continua a poter vendere l’inutile dell’inutile, in barba alle attività fisiche chiuse in città e al diritto alla salute dei loro lavoratori e dei corrieri, esposti per dei beni qualsiasi. Confindustria sembra essere l’unica immune alle riflessioni dei sociologi su questo momento storico.

Adesso il libraio e la libraia diventano anche un simbolo di “ripartenza” e ancora si fa coincidere il nostro mestiere con una romantica vocazione, al di là di mere esigenze economiche. Ma allora davvero riapriamo anche le chiese il giorno di Pasqua. Se la cultura intesa nel senso più stereotipato del termine deve illuminare, allora anche la fede religiosa forse (specifico che sono sarcastica, a scanso di equivoci). E che si tratti di becero stereotipo lo dimostra il fatto che si sia pensato solo alle librerie per questa ripartenza culturale, non alle biblioteche, non ai musei, non a qualsiasi altro settore della cultura, che forse non ha un’icona così vintage, e perché vintage accattivante, come il libro cartaceo.

Marirosa Pili è una libraia di Cagliari

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