Verso l’astensionismo di massa?

1 Settembre 2022

[Francesco Casula]

L’insipienza di Letta, per il 25 settembre sta apparecchiando alla Meloni una sonante vittoria, Fedele, caninamente, alla “Agenda Draghi”, incapace di visione, rancoroso e settario nei confronti di 5 stelle, si avvia alla disfatta, in una sorta di cupio dissolvi: poco male se si trattasse solo della sua sconfitta. Il dramma è che lo sciagurato ed esiziale successo della destra rischia di interrare interi e plurimi valori democratici e progressivi.

Penso comunque che il tratto più dirompente e saliente che verrà fuori dalle prossime elezioni sia anche un altro, l’astensionismo di massa: demonizzato, ma di fatto prodotto da quelli stessi Partiti che lo denunciamo e lo temono. Confondono infatti l’effetto con la causa: che sono appunto loro stessi.

    Scomparsi i Partiti tradizionali: non decapitati da “Mani Pulite” – coma una comoda e interessata vulgata vorrebbe far credere –  ma suicidatisi con la corruzione e le tangenti, gli attuali Partiti sono viepiù semplici Comitati elettorale o, peggio, meri Comitati di affari. Senza radici, senza storia, senza strategia e, ancor meno visione. Senza gruppi dirigenti. Improvvisati e liquidi. Penso all’ultima patetica e ridicola creatura di Di Maio: Impegno civico. Nato esclusivamente per tenere in vita qualche mandarino politico e lo stesso leader: un voltagabbana opportunista ieri  sottoposto, da parte dei mass-media e dell’establishment a un vergognoso e feroce ludibrio (incompetente, scappato di casa, bibitaro) e oggi assurto a politico “responsabile”, vezzeggiato ed elogiato da quegli stessi che fino a ieri lo dileggiavano, in modo spietato, in quanto “rientrato” nei parametri della cultura e della politica dominante: atlantista, occidentalista, filoamericana guerrafondaia.

   Se il Partito di Di Maio è l’esempio più emblematico e paradigmatico della politica asservita a mero strumento e interesse particolare, gli altri non sono da meno. Anche quelli che, in qualche modo, “volano” più alto sono tutti o quasi colpiti da un “cancro”. Che l’opinione pubblica viepiù sta riuscendo a cogliere: il cancro della “modernizzazione”, della “americanizzazione”.

   Il sistema politico italiano – le cui articolazioni succursali sarde non fanno eccezione, seguono anzi supine e subalterne le dinamiche continentali – da un bel po’ di tempo (da trent’anni circa), ricorre a un uso più consolidato e spregiudicato dei nuovi mezzi di comunicazione di massa (utilizzando persino Tik Tok!), di tecniche più sofisticate di psicologia di massa, di linguaggio e di controllo dell’informazione. Da indurre a scegliere non i Partiti ma Meloni, Salvini, Berlusconi, Conte, Letta, Calenda o Renzi. sono tutte immagini rappresentative e simboliche del moderno autoritarismo e del gioco simulato, dietro tecniche di comunicazione, in larga parte mutuato dalla pubblicità. Così Partiti, uomini politici, programmi vengono “venduti” prescindendo dai contenuti e valorizzando l’involucro, la confezione, il look, l’immagine. Non a caso nei simboli campeggia, a caratteri cubitali, il nome del leader. Ad esclusione di Letta e Conte.

   Non a caso, persino un settimanale, non sospettabile di estremismi, come Famiglia Cristiana, a proposito della convention di Comunione e Liberazione ha scritto nel suo Editoriale: “C’è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perché chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione. Un lungo applauso del popolo dei ciellini ha accolto il premier. Tutti gli ospiti del Meeting, a ogni edizione, sono stati sempre accolti così: da Cossiga a Formigoni, da Andreotti a Craxi, da Forlani a Berlusconi. Qualunque cosa dicessero. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull’orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare”.

   La politica si svuota cioè di contenuti – restano solo quelli simulati – e diventa pura e asettica gestione del potere. Il conflitto fra Partiti – più apparente che reale – diventa lotta fra gruppi, spesso trasversali, in concorrenza fra loro per assicurarsi questa gestione. La battaglia politica diventa perciò priva di telos,di finalità. E poiché i gruppi politici si battono fra loro avendo come unico scopo la gestione del potere e l’occupazione degli Enti – di qualsivoglia genere – da quelli bancari a quelli culturali – purché rendano in termini di soddisfacimento degli appetiti plurimi dei “clienti” più fidati, idee politiche, ideologie, programmi e progetti si riducono a pura simulazione: sono effimeri e interscambiabili. Sostanzialmente omologhi. Tanto che il valente storico e filologo Luciano Canfora ha parlato di “partito unico articolato” (il termine, riferito al fascismo, è di Gramsci nda) che regna senza contrappesi e senza neppure il popolo, sospettato ormai sistematicamente di avere pulsioni populiste”. E, non è un caso che soprattutto nell’ultimo decennio abbiamo assistito a governi con tutti (o quasi) dentro!

Con lo stesso Parlamento mortificato e sostanzialmente abraso da decisioni che regolarmente lo scavalcano; è successo segnatamente con il Governo Draghi. Con la stampa cortigianesca e prona a fronte del nuovo Messia governante, la cui guida non può essere né discussa né tanto meno criticata.

   Si parla infatti di “governabilità” come di una tecnica neutrale e, sic et simpliciter, come finalità politica. E così la politica stessa diventa autonoma, non solo dall’etica ma dall’intera società, riducendosi a giuoco o, meglio a mestiere, (remunerato con emolumenti principeschi e privilegi multipli), per “professionisti”: non a caso nasce il termine , “i politici”.

   La legittimazione per i Partiti e per i politici non nasce più dalla libera aggregazione di cittadini attorno a finalità e programmi e progetti concordati e condivisi, né dal consenso popolare, né da una delega concessa su obiettivi determinati, né dalla difesa degli interessi di classi o di gruppi sociali.

   La legittimazione tende ad essere tautologica: si è legittimati a governare per il fatto stesso di essere al governo. E i Partiti sono legittimati per il fatto stesso di essere all’interno del sistema dei Partiti, ovvero, secondo l’espressione di Canfora, all’interno del “Partito unico articolato“ e, dunque dei suoi obiettivi parametri e “valori”: la guerra, il liberismo, l’unitarismo statale, con “La repubblica una e indivisibile”,  (addirittura fdi vagheggia il Presidenzialismo!), l’atlantismo, il filo americanismo, il produttivismo industrialista con le grandi e devastanti opere (TAV, Ponte di Messina), il nucleare. E chi putacaso si ponesse fuori o contro tali “parametri”? E’ fuori, non esiste.

   Stantibus sic rebus c’è qualcuno che si potrebbe stupire se il 25 settembre si verificasse un astensionismo di massa? Considerato anche il fatto che nelle elezioni indette per eleggere e scegliere i nostri rappresentanti nel Parlamento italiano, noi non potremmo scegliere alcunché perché “gli eleggibili” sono “blindati”, già scelti e decisi dagli oligarchi dei Partiti e/o Coalizioni? E all’elettore resta solo il potere di confermare quanto già deciso in alto loco?

   Ma c’è ancora di più: i candidati dovrebbero essere espressione del territorio, di cui dovrebbero, una volta eletti, esprimere e rappresentare in Parlamento, bisogni problemi e necessità. Con la scelta da parte dei leaders del Partito dei candidati in base a rapporti di forza delle sue anime e correnti, ma soprattutto in base al tasso di “fedeltà” al capo, salta qualsiasi criterio di rappresentatività o di legame rispetto al territorio. Tanto che moltissimi candidati sono catapultati dall’alto a da fuori: in Sardegna, come suppongo, in altre parti del Paese.

   Veramente possiamo tollerare tutto ciò? Ovvero limitarci a confermare (legittimandole) scelte e decisioni prese fuori della nostra Terra sarda e talvolta (o spesso) addirittura contro?

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