Il pericolo di un nuovo Editto delle Chiudende

2 Dicembre 2025
Daniela Spoto 2023, © CCIAA NU, La Rivolta de su Connottu

[Stefano Deliperi]

Passano gli anni, ma l’appetito sulle terre collettive in Sardegna non svanisce.

Come nel recente passato, c’è sempre il famelico desiderio di un nuovo Editto delle Chiudende Nel Consiglio regionale della Sardegna

Su proposta delle due Commissioni permanenti IV (Territorio) e I (Autonomia), il 26 novembre 2025 Consiglio regionale ha approvato “per alzata di mano” la risoluzione n. 5/XVII “sulla necessità che la Giunta regionale incarichi i componenti di nomina regionale della Commissione paritetica Stato-Regione, di cui all’articolo 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, di elaborare una norma di attuazione dello Statuto in materia di usi civici”.

Fra i consiglieri regionali che spingono per questo nuovo Editto delle Chiudende vi sono politici che ne han fatto un punto fermo della loro politica come l’on. Francesco Paolo Mula, oggi F.d.I., già nei Riformatori Sardi, già sindaco di Orosei e fra i padri politici di operazioni di sdemanializzazione delle terre collettive sistematicamente dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale.   O come l’on. Antonello Floris, F.d.I., che un po’ confusamente chiede (resoconto consiliare seduta n. 97, pagina 18) di “verificare l’eventuale perimetrazione su parametri oggettivi e non campati in aria, perché … l’onere della prova spetta in tribunale, almeno dalla normativa vigente in Sardegna, al poveraccio che deve difendersi e dire che quell’immobile non ricade all’interno dell’uso civico”, senza sapere che i provvedimenti di accertamento dei demani civici – a cui si è giunti con approfondite verifiche – sono trascritti nei registri immobiliari e quindi pienamente conoscibili.

L’obiettivo, malcelato fra espressioni politicamente corrette, è l’adozione di una norma di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna che consenta di fare il bello e il cattivo tempo sui terreni a uso civico.

Infatti, al di là della politicamente corretta necessità di “attribuire ai componenti di nomina regionale della Commissione paritetica Stato-Regione di cui all’articolo 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, l’incarico di elaborazione di una norma di attuazione da portare all’attenzione della Commissione medesima, che permetta di definire una procedura condivisa con lo Stato, che contemperi l’esigenza regionale di dare certezza giuridica a situazioni consolidate e legittime con l’irrinunciabile principio statale di tutela dei valori paesaggistici e che possa offrire una soluzione alle problematiche descritte nelle premesse”, l’obiettivo reale è “avviare un nuovo processo di mappatura dei terreni regionali gravati da uso civico sulla base di un’interlocuzione diretta con le comunità, affiancando alle risultanze meramente cartolari la valorizzazione della conoscenza consuetudinaria come elemento interpretativo essenziale per la ricostruzione giuridica e cartografica del demanio civico”.

In parole povere, strafregarsene di decenni di provvedimenti commissariali e regionali che sono giunti quasi a conclusione degli accertamenti dei demani civici delle comunità locali per arraffare quanti più terreni possibile, magari oggetto di mire o già occupati illegittimamente da complessi turistico-edilizi (come nel Sarrabus, nel Sinis, a Orosei), da centrali eoliche (come nel Goceanoa Macomer e sul Montiferru, nel Villacidrese, nel Parteolla), da condotte idriche a fini energetiche (a Orgosolo), da mega-discariche gestite da aziende private (come a Serdiana) e così via sottraendo ai diritti delle collettività locali.

Magari svolgendo quella “interlocuzione diretta con le comunità” attraverso qualche consuetamente dispendiosa indagine di ricerca da svolgersi con il non disinteressato supporto di esponenti universitari.

Se soldi pubblici devono esser spesi, lo devono essere per rafforzare, formare, rendere più efficiente strutture regionali competenti in materia di usi civici.

Attualmente in Sardegna, secondo quanto oggetto di provvedimenti di accertamento, risultano terreni a uso civico in 340 Comuni sui 369 su cui sono state condotte le operazioni.

I criteri per l’accertamento degli usi civici sono chiari e sono uguali in tutta Italia: sono i terreni di origine “feudale o ademprivile”e quelli di “antico possesso” o “originaria pertinenza”e si verificano fondamentalmente attraverso l’esame degli archivi dello Stato e degli altri Enti Pubblici Territoriali, degli Archivi notarili, degli archivi commissariali (per la Sardegna vds.la deliberazione del 10 dicembre 2021, n. 48/15 con cui la Giunta regionale sarda ha approvato lo specifico “Atto di indirizzo interpretativo e applicativo per la gestione dei procedimenti amministrativi relativi agli usi civici di cui alla L.R. n. 12/1994, alla L. n. 1766/1927 e alla L. n. 168/2017” anche in attuazione delle disposizioni nazionali in materia di usi civici, comprese quelle sul trasferimento dei diritti di uso civico).

I Comuni sardi sono 377: mancano ancora le attività di accertamento su 7 Comuni, nei quali si stima, comunque, la presenza di terre collettive.

In 30 Comuni, al termine delle operazioni, non sono risultati terreni a uso civico.

Complessivamente (considerando anche gli ultimi 7 Comuni dove devono esser svolte le operazioni di accertamento, ma dove se ne stima la presenza), dovrebbero essere 348 su 377 i Comuni dove sono presenti i demani civici, ben il 92% dei Comuni sardi.

Sono stati, inoltre, verificati e aggiornati i dati (estensione, catasto, ecc.) relativi ai 340 demani civici accertati (luglio 2021), grazie a un buon lavoro condotto dalle strutture regionali competenti.

L’estensione complessiva delle terre collettive finora accertate è di circa 303.676 ettari, pari al 12,62% dell’Isola, riportati nell’Inventario regionale delle Terre civiche, il documento fondamentale, di natura ricognitiva, per la conoscibilità dei terreni appartenenti ai demani civici in Sardegna.

L’Istituto Nazionale di Economia Agraria stimava (1947) la presenza di 314.814 ettari di terreni a uso civico in Sardegna.

In Italia si stima che le terre collettive siano il 7-10% del territorio nazionale e il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha recentemente avviato una indagine conoscitiva in proposito.

I domini collettivi, i terreni a uso civico e i demani civici (legge n. 1766/1927 e s.m.i.legge n. 168/2017regio decreto n. 332/1928 e s.m.i.) costituiscono un patrimonio di grandissimo rilievo per le Collettività locali, sia sotto il profilo economico-sociale che per gli aspetti di salvaguardia ambientale, valore riconosciuto sistematicamente in sede giurisprudenziale.

I diritti di uso civico sono inalienabili, indivisibili, inusucapibili e imprescrittibili (artt. 3, comma 3°, della legge n. 168/2017 e 2, 9, 12 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.). I domini collettivi sono tutelati ex lege con il vincolo paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).  Ogni atto di disposizione che comporti ablazione o che comunque incida su diritti di uso civico può essere adottato dalla pubblica amministrazione competente soltanto a particolari condizioni, previa autorizzazione regionale e verso corrispettivo di un indennizzo da corrispondere alla collettività titolare del diritto medesimo e destinato a opere permanenti di interesse pubblico generale (artt. 12 della legge n. 1766/1927 e s.m.i.).

I cittadini appartenenti alle collettività locali sono gli unici titolari dei diritti di uso civico nei rispettivi demani civici (artt. 2, commi 3° e 4°, e 3, commi 1° e 2°, della legge n. 168/2017 e s.m.i.).  Inoltre, il regime giuridico dei demani civici prevede la “perpetua destinazione agro-silvo-pastorale” (art. 3, comma 3°, della legge n. 168/2017), nonché “l’utilizzazione del demanio civico … in conformità alla sua destinazione e secondo le regole d’uso stabilite dal dominio collettivo” (art. 3, comma 5°, della legge n. 168/2017).

Quindi, i beni in proprietà collettiva sono soggetti per legge a vincolo di destinazione e a vincolo ambientale: non possono essere oggetto di una concessione amministrativa che ne importi la trasformazione.

E quando si verifica l’avvenuta irreversibile trasformazione di terreni dei demani civici si può avviare il procedimento di trasferimento dei diritti di uso civico: la legge n. 168/2017 in materia di usi civici è stata integrata con le disposizioni poste dall’art. 63 bis della legge n. 108 del 29 luglio 2021 di conversione con modificazioni e integrazioni del decreto-legge n. 77/2021, il c.d. decreto governance PNRR) che consente il trasferimento dei diritti di uso civico da terreni ormai irrimediabilmente compromessi (es. perché edificati) ad aree provenienti dal patrimonio comunale o regionale di valore ambientale (es. boschi, coste, zone umide, ecc.). In Sardegna vi sono già stati diversi procedimenti in proposito (per esempio, a Monti, ad Abbasanta, a San Vero Milis, a Oristano, a Lanusei, a Sindia, ecc.) che hanno consentito un recupero ai demani civici di terreni di valore ambientale e contemporaneamente han risolto le problematiche di tanti cittadini.

Un grande patrimonio ambientale collettivo che dobbiamo conservare e custodire per le generazioni future. E il GrIG, che da decenni agisce concretamente per la salvaguardia delle terre collettive sarde, come già avvenuto negli anni scorsi, farà di tutto per evitare qualsiasi nuovo sciagurato Editto delle Chiudende sotto qualsiasi forma.

Il GrIG chiama, in primo luogo, i cittadini a esprimersi, proponendo una petizione popolare per la difesa delle terre collettive in Sardegna, che può essere sottoscritta qui: https://c.org/5BLCJPwztk 

Difendiamo le terre collettive della Sardegna!

Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

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