Osando ancora pensare in grande

16 Maggio 2015
Giulio-Angioni
Giulio Angioni

E’ un’altra lingua, vecchia e nuova, quella imposta dai tempi a misura di Sardegna, i cui limiti sono diventati, semmai non prima, il mondo intero, a cui si deve aprire il senso comune dei sardi, senza più quello “spirito gregario” che finora ci ha fatto solo sperare o temere salvezza o dannazione dall’esterno. Esterno che non c’è più, perché si è nel mondo intero, che anche in ogni villaggio dell’interno dell’isola ormai si riproduce nella sua varietà di forme di vita e di provenienze geografiche spesso grammatiche. E dunque non si insiste mai abbastanza sulla necessità di dare il giusto riconoscimento al ruolo della scelta razionale nel pensiero identitario, e quindi sull’importanza della scelta razionale nelle nostre affiliazioni, sempre multiple e in riaggiustamento. Le nostre scelte individuali possono essere non di rado in parte o del tutto confliggenti con identità e affiliazioni che nolenti o volenti ci vengono proiettate dagli altri, che siano singoli o gruppi più o meno dominanti. Così come non si riconosce mai abbastanza come l’identità è non di rado l’immagine più o meno stereotipata che le istituzioni oggettivano in carte di soggiorno, di riconoscimento o di identità, quando pure questo accade e non si è relegati nel limbo sempre più popolato delle non-persone, un ambito subumano e disumano in cui sono gettati razionalmente esseri umani di ogni età e sesso, ‘clandestini’ e lavoratori ‘in nero’, una volta varcati i confini di quella parte del mondo che detiene i mezzi di produzione nel vasto mondo globalizzato odierno, una volta varcati quei confini che sono venuti meno quasi solamente per i capitali e per le merci.
E sempre incombe il problema del che fare, il problema più contingente del come farlo e con chi: schieramenti e alleanze. Ma qui i traumi recenti spesso non sono supporto a scelte meditate. A sinistra oggi pare si viva meglio che a destra, persino in modo sventato, il problema dell’aggregarsi partitico e delle alleanze strategiche e tattiche. A sinistra ci si fa del male facilmente, a destra si sa quasi solo accusare di tradimenti, di fronte alla difficoltà del problema. Nella contingenza del momento molto dei grandi ideali strategici deve essere lasciato ai tempi lunghi della gramsciana guerra di posizione, di fronte alla necessità tattica ma vitale della sconfitta del berlusconismo, sullo sfondo, ma drammaticamente all’ordine del giorno, nel day-after dell’ultima delusione. Oltre tutte le tattiche di corta visuale, tutti sentiamo il vento maestro della crisi soffiare ancora con ignota violenza. E questo è troppo nuovo davvero. Il solo rimedio possibile è stato visto in un moderatissimo centro-sinistra, benedetto da Confindustria e Vaticano, da Washington e da Bruxelles, che cerchi di rimettere un po’ di cose a posto, a cominciare dai conti pubblici: il solo modo di far sopportare alle masse una già quasi vera e propria fame che sembrava dimenticata e che invece si sconta con modi di antica tregenda. Difficile anche per un complessivo e intero centro-sinistra rimesso al potere far passare tutto quanto da tempo si annuncia e si attua come sacrificio necessario, responsabile stretta di cinghia, ma molto diversamente dai tempi berlingueriani dell’austerità, del compromesso storico, degli anni di piombo e dell’affare Moro. La difficoltà oggi però non è tanto l’incapacità popolare di sacrificio e di solidarietà nazionale e internazionale. Il guaio maggiore è l’inaudita incapacità culturale e morale dei profittatori di moderare almeno provvisoriamente i loro esibiti appetiti, con così alti esempi dal vertice; mentre finora ci si è dovuti limitare alle manifestazioni, quasi autolesionistiche, della salita sui tetti e sulle gru, dei volontari esili nelle isole carcerarie. E la crisi ha toccato, come in Grecia, i ceti medi, che scoprono di non essere più medi ma bassi, sempre più bassi. Tornano attuali le parole che diceva Gramsci ai fascisti negli anni Venti: voi state rovinando l’Italia e a noi toccherà rimediare. Tocca già ai più tartassati, ma anche ai più responsabilizzati, con gli strumenti di altre visioni e di altri programmi di governo, tirare la carretta per primi e per tutti. Prima è, meno peggio è per tutti, mentre assistiamo a questa novità di una incapacità inaudita di far tesoro dell’energià dei giovani e dell’esperienza dei vecchi.
Ma serva anche la tattica. Che ha senso come momento di una strategia di lunga durata. Cioè, per noi ancora, strategia di vera rinascita: progetto generale di sviluppo naturale, dove anche le parole d’ordine altrimenti naturalistiche dell’ecocompatibilità e dell’ecosostenibilità siano misura di un impiego integrale e comunitario delle capacità umane di tutti, dove il bene vero è il bene comune. Che è bene in quanto utilizzabile nel presente e per il futuro di tutti. Nella convinzione che nella terra dei sardi il popolo sardo ne abbia la visione, la possibilità e le capacità lungamente maturate. E che non sia fuori tempo e luogo un Fortza paris non asservito al peggio che ci viene dal Nord.

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