Stop al cemento sulle coste, non serve a nulla

16 Maggio 2019
[Stefano Deliperi]

Il Presidente della Regione autonoma della Sardegna Solinas e i suoi Assessori al turismo Chessa (noto per le sue passioni per Saline eFenicotteri) e all’urbanistica Sanna (appassionato dell’architettura di Antonio Simon Mossa e di nuove, ennesime, province), non hanno nemmeno iniziato a lavorare e già annunciano stravolgimenti rivisitazioni (dipende dal punto di vista) della normativa di tutela costiera peraprire la strada al cemento sui litorali.

Sappiano che in tal caso avranno la risposta adeguataPoche cose, ma chiare. Normative di salvaguardia costiera e piano paesaggistico sono obblighi non derogabili, previsti dalla normativa nazionale (decreto legislativo n. 4272004 e s.m.i.) in attuazione dei principi costituzionali (artt. 9 e 117, comma 2°, lettera s), mentre il piano paesaggistico dev’essere predisposto in collaborazione (c.d. copianificazione) con il Ministero per i beni e attività culturali, come da giurisprudenza costituzionale costante.

Ricordiamo che siamo riusciti a far annullare (1998, 2013) dai Giudici amministrativi i piani territoriali paesistici del 1993, che tutelavano le speculazioni immobiliari e non l’ambiente, abbiamo contribuito ad affossare il tentativo dell’Amministrazione regionale Cappellacci di stravolgere il P.P.R. (2013-2014), abbiamo contribuito a fermare le norme eversive della pianificazione paesaggistica proposte dalla Giunta Pigliaru (2018). Ma che senso avrebbe, al di là degli slogan sempre più vuoti come i posti letto alberghieri?

E’ necessario evidenziare in proposito il ridotto tasso di occupazione delle strutture: 22% per le strutture alberghiere e 9,1% per quelle extralberghiere (dati inferiori alla media italiana ma in linea con quelli delle regioni competitor italiane: Sicilia, Puglia e Calabria). I motivi risiederebbero nella forte stagionalità dei flussi, tipica del turismo marino-balneare. Basti pensare che le strutture vengono utilizzate per il 54% nel mese di agosto e solamente per l’1% nei mesi di gennaio e di dicembre (dati XXIV Rapporto Crenos sull’economia della Sardegna, 2017).

Il recente report della C.N.A., elaborato sui dati ISTAT, indica in ben 261.120 le “abitazioni vuote”, cioè il 28,2% del patrimonio edilizio complessivo e propone una soluzione intelligente sia in chiave turistica che per il contrasto al consumo del suolo: “la creazione di alberghi diffusi, alberghi residenziali e B&B, concepiti come sistema a rete a gestione centralizzata delle prenotazioni e dei servizi accessori (dalle pulizie, alla ristorazione, alle visite guidate, al noleggio di mezzi di trasporto, ecc.). Si tratta un modello di offerta ricettiva di recente diffusione in Italia ed Europa, tra l’altro riconosciuto in modo formale per la prima volta proprio in Sardegna con una normativa specifica del 1998, la cui particolarità consiste nell’offrire agli ospiti l’esperienza di vita in un autentico borgo storico o in un piccolo nucleo rurale, alloggiando in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’albergo diffuso, dove è situata la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro e tutti gli altri servizi che contraddistinguono l’ospitalità alberghiera”.

Il potenziale isolano è notevole e ben potrebbe rivitalizzare i tanti borghi semi-abbandonati: “nel 2018 i 14 alberghi diffusi e gli 80 alberghi residenziali, con una offerta complessiva di 14.278 posti letto (l’1,5% delle strutture e il 6,5% dei posti letto), hanno infatti accolto 192.756 arrivi e 1.182.513 presenze, pari rispettivamente all’8,1% degli arrivi e l’11% delle presenze complessivamente registrate in regione”.

In realtà, per migliorare l’offerta turistica sembrano prioritarie altre iniziative, a iniziare dal radicale miglioramento dei collegamenti aerei e navali in regime di continuità territoriale o comunque attraverso meccanismi di abbattimento dei costi per i non residenti, continuando con una politica efficace delle aree naturali protette e dei beni culturali per ampliare offerta e stagione turistica (per esempio, l’istituzione del parco naturale della Giara in connessione con l’area archeologica di Barumini, itinerari eno-gastronomici e culturali locali), per finire con la promozione di veri e propri “pacchetti turistici” specifici per mète ed eventi (es. S. Efisio, Carnevale, Pasqua, Candelieri, turismo naturalistico, ciclo-turismo, ecc.) nell’ambito di una politica di promozione turistica degna di questo nome, cosa che la Sardegna non ha mai avuto. L’urbanista Sandro Roggio l’ha spiegato bene nei giorni scorsi dalle colonne de La Nuova Sardegna. Arriverà un po’ di buon senso?

Stefano Deliperi è il portavoce del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

1 Commento a “Stop al cemento sulle coste, non serve a nulla”

  1. Guido Cabib scrive:

    Concordo pienamente e con forza sulll0 stop al Cemento è follia pura, per un Isola che dobrebbe essere ” la terra del futuro”!
    Ci sono centinaia di migliaia di mq abbandonati, da recuperare e riconvertire, come oramai da un ventennio avviene nel mondo civilizzato e acculturato.
    Ciò che sovente manca è una visione strategica complessiva, alfine di individuare quale debba essere la mission dell Sardegna, nel panorama mediterraneo, europeo e mondiale.Una volta definito il suo futuro, viene di conseguenza l’individuazione delle azioni da perseguire in tutti i settori ( Industriale, turistico, ambientale , culturale, formativo, dei trasporti, assistenziale, etc) atte a raggiungere nel medio tempo l’obbiettivo prescelto.

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