Turchia e dintorni. Quando i turchi venivano a lezione dagli italiani

4 Gennaio 2019

Foto di Ara Güler

[Emanuela Locci]

In questo nuovo appuntamento della rubrica Turchia e dintorni, il primo del 2019, facciamo un passo indietro nella storia di questo complesso quanto affascinante paese, che tanto ha rappresentato nella storia dei paesi del bacino del Mediterraneo.

Dopo la fine del primo conflitto mondiale, con la fondazione della Repubblica, nel 1923, la Turchia attraversò un periodo abbastanza lungo in cui fu strenuamente impegnata in una transizione che aveva lo scopo di lasciare alle spalle della nuova entità statale nascente, un passato imperiale alquanto ingombrante, che faceva posto a un futuro in cui si intendeva traghettare la nazione verso la modernità, nel senso occidentale del termine.

Mustafa Kemal Atatürk e il suo entourage, in uno sforzo comune con la maggior parte della popolazione, misero in campo numerose iniziative per portare avanti alcuni importanti progetti politici. Innanzitutto era necessario costruire una nazione dal nulla, per ottenere questo risultato era necessario “costruire” il nuovo cittadino turco, dargli delle regole, degli obiettivi, che lo avrebbero reso consapevole dell’essere veramente Turco. Questo risultato si ottenne attraverso una serie di misure che stravolsero completamente il sistema sociale preesistente che vedeva anche la presenza di importanti e numerose minoranze che erano presenti da tempi immemorabili nell’ex Impero Ottomano.

Tutti erano chiamati a diventare solo turchi, con l’uso di una sola lingua, con la pratica di una sola religione, e cosa ancor più importante con il riconoscimento unanime di una sola entità statale, che li avrebbe rappresentati tutti: la Repubblica di Turchia. Ma la questione non era solo sociale e popolare, infatti, per poter affrontare questi cambiamenti epocali era necessario soffermarsi su un altro fattore determinante: l’apparato economico. Nello specifico era necessario rafforzare il sistema economico, che era uscito totalmente distrutto dal disastro derivante dalla sconfitta della Prima Guerra Mondiale e dalla conseguente dissoluzione dell’Impero. Il governo decise di procedere stabilendo nuovi accordi commerciali con i paesi vicini, che in precedenza, nella maggior parte dei casi facevano parte integrante dell’Impero.

Si andò avanti proteggendo l’economia attraverso politiche di restrizione doganale o misure simili, che avevano tutte lo scopo di rafforzare le aziende turche, incoraggiando le produzioni interne a scapito delle importazioni. Furono molto importanti anche gli sforzi portati avanti per allestire una rete ferroviaria che potesse rendere più semplici le comunicazioni e gli scambi tra le diverse regioni turche. Tutte queste iniziative però presupponevano una nazione che aveva una condizione economica vigorosa, ma questo non era il caso della Turchia, infatti, la sua situazione economica nei primi anni Trenta non era florida, tanto che essi ad esempio chiesero all’Italia un prestito di trecento milioni.

Ma l’apporto italiano non si limitava ad eventuali prestiti o accordi commerciali, che prevedevano ad esempio la fornitura di armi, sommergibili, treni, ecc. La relazione tra la Turchia e l’Italia passava per ben altri canali e interessava in maniera preponderante l’assetto politico. Come sappiamo negli anni Trenta l’Italia era governata dal regime fascista, questo tipo di sistema politico aveva un forte ascendente sulla classe politica turca, che aveva l’esigenza in qualche modo di costruirsi un’identità che la caratterizzasse. Il governo turco decise di inviare in Italia in diverse occasioni i responsabili di alcuni ambiti statali strategici, come ad esempio il direttore generale della pubblica sicurezza, che nel 1933 visitò alcune città e strutture organizzative statali italiane per verificarne il funzionamento e l’efficacia nello svolgimento del servizio.

Queste missioni avevano lo scopo di verificare se il sistema fascista effettivamente funzionava, soprattutto a proposito del controllo delle opposizioni, tema che per molto tempo interessò anche la politica interna turca. Infatti, il primo periodo repubblicano fu caratterizzato, nonostante gli sforzi governativi, da numerose rivolte che avevano lo scopo di ostacolare le riforme kemaliste. Queste ribellioni, di solito molto cruente, avevano spesso come protagonisti elementi che provenivano dal mondo religioso, che vedevano intaccato il loro potere a causa delle riforme improntate alla laicità, che furono uno dei pilastri della politica kemalista. Quindi i turchi non beneficiarono solo di aiuti economici, ma usufruirono anche di altri tipi di istruzioni, metodi di repressione, che avevano lo scopo di rafforzare il potere politico interno a scapito delle opposizioni. Anche questa era la Turchia di ieri.

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